Ricominciando a parlare un linguaggio diverso…

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di Maria Rusolo

“La giustizia senza forza è inerme, ma la forza senza giustizia è tirannia”

Come avevo previsto dei fatti realmente accaduti a Bibbiano interessava davvero a pochi, per cui il clamore si è quasi del tutto spento in pochi attimi, appena un nuovo fatto di cronaca ha potuto consentire alle masse, assetate di sangue di dirigersi altrove e per cui oggi ci tocca assistere all’ennesimo spettacolo nella calura estiva. Un fatto di cronaca atroce, spietato che ha visto coinvolti, in una dinamica che gli inquirenti stanno ancora ricostruendo, un giovane carabiniere, e due spiantati studenti americani tossicodipendenti, e forse annoiati, in una caldissima notte Romana.

Le prime confuse notizie , sollecitate dai tweet di qualche riferimento istituzionale, che non merita neanche di essere citato, avevano subito parlato di Uomini neri, degli immigrati, per sollecitare ancora una volta la caccia a diverso, al povero, a chi si trova nel nostro Paese solo per delinquere, poi, però le prime verità sono emerse. I presunti assassini, erano bianchi, americani, e benestanti, e quindi questo cambiava le carte in tavola, cambiava la percezione, poneva la strategia dei mostri della giustizia sommaria, in uno stato di prostrazione che però, ahimè è durato pochi piccoli istanti.

Nella mattinata di domenica è stata diffusa una foto di uno dei due ragazzi coinvolti, in una caserma dei carabinieri, ammanettato e BENDATO. I commenti hanno fatto andare in tilt tutti i social, e naturalmente il parterre si è diviso tra gli indignati, con un poco di conoscenza delle regole umane e di diritto e quelli che hanno ritenuto, che tutto sommato se la fosse cercata, e che la benda era un peccato veniale, a cui avrebbero volentieri aggiunto, una palla al piede, o qualsiasi altro sistema di tortura. Carceri buie, umide, senza nessun contatto con l’esterno, goccia cinese o qualsiasi altra diavoleria.

Senza processo, subito nei scantinati invasi dai topi. La mia non è una esagerazione, vi posso garantire che ho letto anche di peggio, e non da parte di chi non ha la minima cognizione dei principi del Giusto Processo, o dei Codici o dei Principi Costituzionali, in molti casi, le considerazioni venivano da colleghi avvocati, da uomini di cultura, da insegnanti, in un verso o nell’altro da chi avrebbe in linea di principio gli strumenti per comprendere, per riflettere e pensare e per evitare di instillare odio e violenza.

Mi sono fermata per un attimo, scoraggiata, provando ad interrogarmi su cosa stia accadendo al mio Paese, a cosa sia accaduto in questi anni per arrivare a divulgare con tanta facilità simili barbarie, che un tempo, non troppo lontano qualcuno avrebbe tenuto per se’ temendo la stigmatizzazione pubblica. Mi spiace io giustificazioni non sono riuscita a trovarne, non stavolta, non sono riuscita a parlare di povertà culturale diffusa, o della mancanza di certezze, non sono riuscita a pensare che un individuo che si sente abbandonato dallo Stato e che non ha più visioni reagisce solo in virtù dei bassi istinti, no, mi spiace, stavolta, nessuna analisi sociologica, mi è corsa in aiuto, nessuno studio approfondito può giustificare la incapacità di capire i fatti, di leggere gli eventi, e di capire che se si lasciano diventare regole certi comportamenti, tutti siamo in pericolo.

Siamo in pericolo più di quanto possiamo anche soltanto per un istante immaginare, perché in condizioni diverse, ad un posto di blocco di sera, potremmo essere noi a subire un processo sommario privo di garanzie; siamo in pericolo perché se lasciamo che la ” pancia” guidi le nostre azioni e le nostre reazioni non abbiamo più diritti, e perdiamo soprattutto la coscienza critica che ci rende esseri umani, in divenire, che dovrebbero abbracciare il senso della responsabilità di una comunità, di una collettività o non del singolo. Come si mette rimedio a tutto questo?

Ricominciando a parlare un linguaggio diverso, cercando di ricollegarci agli altri in un modo giusto, valorizzando il merito e la competenza, e riaprendo un varco sui valori diffusi soprattutto tra le giovani generazioni. Abbiamo sbagliato, sono consapevole, abbiamo lasciato soli i più fragili e questi sono i risultati, ma non possiamo più stare a guardare, lo ripeterò sino allo sfinimento, o sino a quando avrò l’ultimo respiro, ma come dico sempre, le scintille vanno alimentate e servono compagni di viaggio, in quella che sarà una lunga e dura battaglia.

Chi spontaneamente, senz’esservi costretto, si comporta con giustizia, non sarà infelice, né mai lo coglierà totale rovina.

Nasco in un piccolo paese della provincia di Avellino, con il sogno di girare il mondo e di fare la giornalista, sullo stile della Fallaci. Completamente immersa, sin dalla più tenera età nei libri e nella musica, ma mai musona o distante dagli altri. Sempre con una battaglia da combattere, sempre con l’insolenza nella risposta verso gli adulti o verso chi in qualche modo pensasse che le regole non potessero essere afferrate tra le dita e cambiate. Ho sempre avuto la Provincia nel cuore, ma l’ho sempre vissuta come un limite, una sorta di casa delle bambole troppo stretta, per chi non voleva conformarsi a quello che gli altri avevano già deciso io fossi o facessi. Decido di frequentare Giurisprudenza, con il sogno della Magistratura, invaghita del mito di Mani Pulite, ma la nostra terra è troppo complicata, per non imparare presto ad essere flessibile anche con i sogni e le speranze, per cui divento avvocato con una specializzazione in diritto del lavoro prima e diritto di famiglia poi, ma anomala anche nella professione e mal amalgamata alla casta degli avvocati della mia città. La politica e la cultura , i cuori pulsanti della mia esistenza, perché in un mondo che gira al contrario non posso rinunciare a dire la mia e a piantare semi di bellezza. Scrivo per diletto e per bisogno, con la speranza che prima o poi quei semi possano diventare alberi.