di Peppe D’Anna
MotoGp, gran premio di Sepang, decisivo per la conquista del mondiale. Si giocano il titolo Valentino Rossi e Jorge Lorenzo. Lorenzo è primo e corre più veloce che può.
Alle sue spalle, lo scatenato pesarese e Marc Marquez. Il secondo fa di tutto per ostacolare Valentino. Lo provoca, stringe le traiettorie, gli tiene il fiato e il rombo del motore sul collo. Fino a qui, ci può ancora stare. Tutti vogliono vincere e, come recita un noto adagio, “in guerra e in amore tutto è permesso”.
Sì, questa è una guerra. Per la fama, i soldi, gli sponsor. E contro la morte. Che ogni pilota guarda in faccia, ogni volta che sale su un mezzo che schizza a trecento chilometri all’ora. Vietato mancarle di rispetto. Marquez sembra averlo dimenticato.
A un tratto, appoggia il manubrio destro sulla coscia di Valentino. Il pilota italiano si gira di scatto e probabilmente nella sua testa passa la più popolare delle espressioni: “Che cazzo fai?”. Lo spagnolo sa benissimo quello che sta mettendo in atto. Vuole fare un favore al connazionale Lorenzo. Il campionato non deve vincerlo Valentino. A tutti i costi.
Rossi sembra reagire in maniera decisa, tirando un calcio per allontanare il molesto avversario. Poi “porta fuori linea” il catalano, che cade dalla moto. Ai microfoni della stampa, il “Dottore” si giustifica: “Marc mi colpisce alla coscia sinistra col manubrio destro e comincia a scivolare, solo dopo io perdo il piede sinistro dalla pedana. Non volevo farlo cadere. Se gli avessi voluto tirare un calcio, lo avrei fatto quaranta metri prima quando eravamo attaccati. E poi le Motogp sono troppo pesanti, per essere buttate giù con una pedata”.
Il problema è che questa bravata è costata cara solo a Valentino Rossi: penalizzazione di tre punti e partenza in ultima fila al prossimo gran premio di Valencia. L’ultimo della stagione. Il Dottore ha soli sette punti di vantaggio su Lorenzo. Probabilmente perderà il mondiale. Media italiani e tifosi di Rossi hanno fatto subito quadrato attorno al campione del Belpaese. La colpa è tutta della lobby spagnola. Fino a un certo punto. Il problema è l’atleta che non rispetta lo sport, nel senso più nobile del termine.
Dalle moto al tennis, passando per lo squash e il calcio a undici o a cinque, ogni gioco, ogni corsa, impone il rispetto delle regole. La prima, non scritta ma vigente dai tempi delle Olimpiadi greco-romane, stabilisce che il più forte vince. Il più veloce, nel caso specifico. Gli scorretti, i disonesti, meritano di essere puniti e squalificati da un giudice sopra le parti.
Quindi anche Valentino ha sbagliato, per due motivi: è caduto nella più evidente delle provocazioni, e si è fatto (forse) giustizia da solo. Avrebbe dovuto fermarsi, e correre, stavolta a piedi, dai commissari di gara. Per chiedere, dopo un’accurata indagine, che Marc Marquez fosse squalificato per condotta antisportiva.
Invece è stato proprio ita(g)liano. Il quale, se subisce un torto, ne produce uno ancora superiore. Dalle nostre parti si direbbe che “s’è mis acopp”. Non è questo il messaggio da lasciare ai giovani e tramandare ai posteri. Giusto che un professionista cerchi la vittoria, ma non a tutti i costi. Prima di una coppa e di un assegno, ci sono le persone. Non c’è scappato il morto, per fortuna. Addetti ai lavori e sedicenti opinionisti possono continuare a discutere nei loro fumosi salotti. Lo spettacolo, nonostante tutto, deve continuare.