Critiche al sistema democratico: il pensiero di Platone, Evola e Amiel

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di Alessandro D’Orazio

La democrazia, intesa come forma di governo in cui il potere risiede nel popolo, che esercita la sua sovranità attraverso istituti politici diversi è senz’altro il modello politico-organizzativo più diffuso nella moderna Europa. Oggi, nei Paesi occidentali, la democrazia è conosciuta come la sola forma auspicabile di buon governo e la missione di molte nazioni è stata quella di esportare questa formula laddove ancora non fosse giunta. 

Come è noto, le sue origini sono antichissime ed affondano le radici nella Grecia del VI sec a.C., seppur vi siano  delle sostanziali differenze (rappresentatività, diritto di voto, ripartizione dei poteri) rispetto alla realtà attuale. Nel corso della storia, tuttavia, molti sono stati gli interrogativi circa la perfezione di questo sistema; quesiti che hanno generato dottrine volte a valutare forme politico-organizzative alternative (un governo di sapienti, ad esempio) oppure meccanismi elettivi divergenti (limitazione all’egualitario diritto di voto).

A questo riguardo, l’idea evoliana di una tradizionale visione del mondo, secondo cui il potere delle masse ha da sempre fatto sì che i democratici governanti non fossero, in usi e abitudini, probabilmente molto distanti dalle attitudini dei loro elettori, o ancora il pensiero platonico di una Res publica illuminata e gerarchicamente preordinata hanno insinuato nell’uomo pensante i dubbiosi interrogativi sopra evidenziati, il cui nocciolo ultimo è stato – più degnamente – espresso attraverso le profonde critiche contenute nel celebre “Diario intimo” di Amiel:

“Le masse saranno sempre al di sotto della media. La maggiore età si abbasserà, la barriera del sesso cadrà, e la democrazia arriverà all’assurdo rimettendo la decisione intorno alle cose più grandi ai più incapaci. Sarà la punizione del suo principio astratto dell’uguaglianza, che dispensa l’ignorante di istruirsi, l’imbecille di giudicarsi, il bambino di essere uomo e il delinquente di correggersi. Il diritto pubblico fondato sulla uguaglianza andrà in pezzi a causa delle sue conseguenze. Perché non riconosce la disuguaglianza di valore, di merito, di esperienza, cioè la fatica individuale: culminerà nel trionfo della feccia e dell’appiattimento. L’adorazione delle apparenze si paga”.

In considerazione di ció, si concluderà questa breve disamina rimandando alle facoltà di giudizio insite in ciascun lettore e “misurate dalla statura e dalla dignità della sua persona”, al fine di comprendere dottrine (spesso declassate) di alcuni autori protagonisti, a loro modo, di una significativa porzione del pensiero occidentale.

Classe 1992. Una laurea in Giurisprudenza ed una in Operatore giuridico d’impresa. Nel mezzo l’azione: paracadutista, sommozzatore e pilota d’aerei. Classicista convinto, quanto Cattolico. Appassionato di viaggi, lettura e scrittura. Un’esistenza volta alla costante ricerca delle tre idee che reggono il mondo: il Bene, la Giustizia e la Bellezza. Senza mai perdere di vista la base di ogni cosa: l’Umanità. Se fosse nato sostantivo, sarebbe stato il greco aretè e cioè, la disposizione d’animo di una persona nell’assolvere bene il proprio compito. La frase che lo descrive: “Darsi una forma, creare in se stessi un ordine e una dirittura”. Il tutto allietato da un bel dipinto di Giovanni da Fiesole.