Il Festival che in qualche modo cambia la società

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di Maria Rusolo

“Nessuno può darti la libertà. Nessuno può darti l’uguaglianza o la giustizia o qualsiasi altra cosa. Se sei un uomo, te le prendi.”

Perché Sanremo è Sanremo! Direte voi e che c’azzecca l’uguaglianza, la giustizia, la lotta per la parità di genere con Sanremo ed io devo rispondervi che c’azzecca e come, e se avrete la pazienza di seguirmi per qualche istante proverò a spiegarlo meglio possibile.

Le polemiche che hanno preceduto la Kermesse canora hanno avuto il merito di far parlare nel bene e nel male, di donne e di quanto ancora il nostro Paese sia violentemente segnato da una cultura che oscilla tra il becero ed il sessismo, ma come ho già avuto modo di dire in questo spazio, certi fenomeni si battono nella quotidianità degli eventi e delle circostanze ed a farlo sono soprattutto quelli che siamo soliti definire ” vittime”. Non c’è riscatto, non c’è evoluzione, non c’è rivoluzione possibile, se non attraverso la piena consapevolezza che bisogna incidere sulle masse ed a farlo devono essere innanzitutto quelli che subiscono a qualsiasi latitudine.

Il Festival è una vetrina nazional-popolare nella quale si è sempre celebrato lo stereotipo umano e sociale della piccola provincia borghese italiana. Lustrini, paillettes, inno all’amore fedele e casto, alla famiglia tradizionale ed al classismo più prosaico, per cui quando negli anni sono arrivati degli scossoni rispetto alla morale comune, hanno fatto discutere con una certa forza. Chi non ricorda il pancione della Bertè? O ancora chi non ricorda Cristicchi ed il suo racconto sulla malattia mentale? O ancora l’irriverenza e l’essere fuori contesto di Tenco o di Rino Gaetano? Fenomeni marginali? Io non credo, se ancora a distanza di decenni ne parliamo vuol dire che hanno contribuito in qualche modo a cambiare la società.

Ecco allora senza annoiarvi troppo io credo che quando certi argomenti da chiunque provengano, arrivino velocemente e senza la forma del sermone, ad una platea così vasta un passo avanti è stato compiuto; se si arriva a parlare di un suicidio di una madre violentata, maltrattata, lasciata sola, e lo si fa su quel palco, e si riesce a catturare in 12 minuti l’attenzione di un pubblico così ampio e variegato, un sasso è stato lanciato, e quel sasso può produrre tanti cerchi nell’acqua e non passare inosservato. No, certo che non è sufficiente, porca miseria ma è utile, se muoiono tutti giorni donne nel mondo che non sanno cosa sia la parità dei diritti allora nulla è mai troppo poco.

Ma se su quello stesso Palco sale un ragazzo giovane che si spoglia e rimane in tutina, provando a lanciare un messaggio muto, ma eloquente e quelle stesse persone tirano fuori il peggio degli stereotipi sul maschio e sull’attitudine virile dell’uomo al balcone, beh allora c’è un corto circuito, c’è una ipocrisia di fondo che mi fa pensare che in realtà il monologo di Rula ha prodotto più una reazione pietistica, senza generare una vera e propria consapevolezza, e che dopo qualche istante in noi di quelle parole non resterà che un pallido ricordo, il giorno dopo torneremo a fare battutine sulla bionda dalle forme generose, che parla alla nonna in sala, o che non ha il diritto di mostrare anche solo la propria bellezza.

Torneremo a colpire una artista straordinaria come la Vanoni, per la chirurgia o per la sua età, come se l’età fosse un limite culturale che deve essere rimosso e che non consente di continuare a pensare di poter dare ancora qualcosa al mondo e lo faremo cinque minuti dopo aver esaltato le donne che si dedicano con impegno a battere gli stereotipi e che presentano un progetto artistico per fornire un aiuto concreto ai centri anti violenza. Perché in fondo noi siamo sempre dalla parte delle vittime, ma solo in linea teorica, solo un po’ per attitudine culturale e sociale, piuttosto che per convinzione profonda e meditata.

E faremo poca attenzione a quello stesso Achille che senza dire nulla canta un passo indietro rispetto alla sua partner musicale che in fondo gli uomini non cambiano. Vedete far emergere le contraddizioni è l’unico modo per scalare le montagne ed a Sanremo vedere e sentire Rula ed Achille ha restituito all’opinione pubblica la difficoltà di accogliere la diversità dell’essere umano e la sua unicità, in una logica banale e normalissima, ancora poco accettata che si chiama Libertà.

La libertà di essere uguali e diversi senza che questo debba necessariamente produrre una reazione contrariata e violenta, senza che questo debba passare per l’accettazione di qualcuno; la libertà di esprimersi nel modo più giusto e per come sentiamo e vediamo il mondo, per come ci relazioniamo prima di tutto con la parte più profonda di noi stessi. Non sono gli altri a doverci riconoscere questa libertà, ma ce la dobbiamo prendere, e questo è accaduto, seppure in modo diverso, ed è un segnale potente che dobbiamo prendere al volo ed a cui dobbiamo aggrapparci per rivoluzionare le nostre esistenze. In fondo non sono poi solo canzonette.

Hegel diceva : ” Possiamo essere davvero liberi solo se tutti lo sono”. Buon Festival.

Nasco in un piccolo paese della provincia di Avellino, con il sogno di girare il mondo e di fare la giornalista, sullo stile della Fallaci. Completamente immersa, sin dalla più tenera età nei libri e nella musica, ma mai musona o distante dagli altri. Sempre con una battaglia da combattere, sempre con l’insolenza nella risposta verso gli adulti o verso chi in qualche modo pensasse che le regole non potessero essere afferrate tra le dita e cambiate. Ho sempre avuto la Provincia nel cuore, ma l’ho sempre vissuta come un limite, una sorta di casa delle bambole troppo stretta, per chi non voleva conformarsi a quello che gli altri avevano già deciso io fossi o facessi. Decido di frequentare Giurisprudenza, con il sogno della Magistratura, invaghita del mito di Mani Pulite, ma la nostra terra è troppo complicata, per non imparare presto ad essere flessibile anche con i sogni e le speranze, per cui divento avvocato con una specializzazione in diritto del lavoro prima e diritto di famiglia poi, ma anomala anche nella professione e mal amalgamata alla casta degli avvocati della mia città. La politica e la cultura , i cuori pulsanti della mia esistenza, perché in un mondo che gira al contrario non posso rinunciare a dire la mia e a piantare semi di bellezza. Scrivo per diletto e per bisogno, con la speranza che prima o poi quei semi possano diventare alberi.