Il Mezzogiorno, un pezzo d’Italia abbandonato a se stesso

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di Maria Rusolo

“Nel Mezzogiorno esistono milioni di abitanti, tra i quali personaggi di grandissima competenza, capacità, moralità, indipendenza. Ma sono stati selezionati per essere messi nel posto giusto? Sono stati incaricati di individuare i problemi, preparare i progetti, organizzarne la realizzazione? Probabilmente in certi casi sì. Il fatto è che queste persone “mediamente” non prevalgono, rispetto a quelle scelte in base ad altri criteri (e sappiamo quali). E quando riescono ad arrivare nel posto giusto non sono in grado di operare come vorrebbero perché intorno a loro confluiscono inefficienze, legacci di vario tipo, interferenze, ritardi.”

Siamo in Campagna elettorale, credo di averne scritto sino a farvi venire la nausea amici miei, e naturalmente in ogni editoriale che si rispetti, in ogni dibattito televisivo ed in ogni programma, uno spazio è riservato al Mezzogiorno ed alla Questione Meridionale. A dire il vero nessuno la definisce più così, ma si parla di superare il divario tra Nord e Sud del Paese, l’arretratezza che colpisce la nostra amata terra, ed ogni politicante ha la propria soluzione.

Peccato che siano gli stessi ormai da quasi trent’anni e di effetti nessuno ha visto neanche l’ombra, anche se bisogna sottolineare che i cittadini di questa area geografica non sono certo immuni da ogni tipo di responsabilità. Qualcuno dirà che il ritardo nella crescita e nello sviluppo è il frutto di condizioni ambientali, storiche e se dovessimo seguire le teorie di Leopardi anche antropologiche, ma chi come me non crede nella ineluttabilità del destino, pensa che la storia sia il frutto soprattutto di scelte bene precise.

A molti fa ancora comodo che il Sud sia il bacino di un certo tipo di potere e continua ad usare un linguaggio e metodi diretti a pensare più in termini di assistenza e di clientela che di visioni per il futuro. Il progresso oggi non ha un limite geografico, non ha un confine territoriale viaggia veloce e si innesta in terreni anche aridi rendendoli fertili in poco tempo. Qui c’è chiaramente qualcuno a cui fa comodo avvelenare i pozzi affinché non crescano alberi e foreste rigogliose, qui c’è qualcuno che inneggia al controllo del pubblico sui servizi per poter gestire meglio la gente e mantenere una comunità in uno stato di arretratezza culturale, promettendo posti di lavoro in cambio di un appoggio elettorale.

Dite che non sia così? Mi tocca smentire chi opporrà una visione bucolica di un Sud fatto di terra, sole, mare e patrimonio umano e culturale, qui anche ciò che potrebbe rappresentare una ricchezza se gestito con criteri di efficacia ed efficienza diventa l’occasione propizia per aiutare gli amici degli amici e per sperperare denaro pubblico. Società pubbliche che gestiscono acqua e rifiuti con bilanci in passivo per milioni di euro, e personale assunto senza procedure concorsuali, ospedali gestiti da manager solo a seguito di appoggio durante le elezioni, assenza di opere infrastrutturali e di impiantistica affidata a società miste capaci di farle marciare a pieno regime, ricavandone utili, beni pubblici e strutture culturali come buchi mangia soldi che non producono ricchezza immateriale, ed il tutto documentabile attraverso atti all’attenzione spesso della magistratura.

Fateci caso, guardatevi intorno, quanti capannoni dismessi ci sono, quanti terreni agricoli abbandonati, quanti giovani precari assunti con Garanzia giovani, quante speranze uccise, e qualcuno ne parla con onestà intellettuale? Qualcuno dice che si vuole mantenere le cose così come stanno e che la colpa non è di nessuno ne tanto meno dell’Europa matrigna che crea regole inapplicabili? L’Europa ha creato misure sociali importantissime, ha dettato regole di base che dovrebbero favorire la concorrenza, ha chiaramente detto che non bisogna abusare dei contratti di lavoro nella pubblica amministrazione ed invece noi che cosa abbiamo fatto ? Abbiamo migliaia di forestali, che da decenni vivono il lavoro a giornata senza garanzia, i giudici onorari privi di welfare, autonomi che non sanno a che santo votarsi, piccole e medie imprese che seppure provano a produrre eccellenza in termini di qualità, vengono stritolate da malaffare e da politici corrotti ed abusanti.

Ed allora guardare le foto di chi origine e causa di questo cancro gira per comuni sperando di mostrarsi vicino alla gente ed alle comunità desertificate, dove in un anno si celebrano più funerali che nascite, mi genera un profondo disgusto e mi spinge a chiedermi perché la gente continui a non capire, che la dicotomia a cui dobbiamo aspirare è fatta di diritti e di doveri, non di concessioni e privilegi e che bisogna esigere regole chiare non meno regole, per poter svilupparsi e crescere, che questa terra ha bisogno di lavoro, di scuole, di teatri, biblioteche e musei e non di sagre, fuochi pirotecnici e processioni e tagli di nastri, siamo noi sempre a poter fare la differenza, anche quando decidiamo di fare politica. Bisogna buttare a mare i trasformisti, gli incapaci che hanno vissuto di consulenze e di incarichi, valorizzare le intelligenze e dire la verità anche quando è complessa e spiacevole.

“La convinzione che il Sud fosse un malato da guarire ha comportato l’uso dell’assistenza filantropica, dell’elemosina benefattrice, del sostegno che si riserva ai diseredati. Gli stessi politici meridionali hanno sempre rinnovato l’immagine di una terra bisognosa di prebende e finanziamenti a pioggia: un’impostazione che ha garantito più il mantenimento di vantaggi a ristrette élites di privilegiati che non il miglioramento del tessuto sociale, politico, economico e culturale del Mezzogiorno.”

Nasco in un piccolo paese della provincia di Avellino, con il sogno di girare il mondo e di fare la giornalista, sullo stile della Fallaci. Completamente immersa, sin dalla più tenera età nei libri e nella musica, ma mai musona o distante dagli altri. Sempre con una battaglia da combattere, sempre con l’insolenza nella risposta verso gli adulti o verso chi in qualche modo pensasse che le regole non potessero essere afferrate tra le dita e cambiate. Ho sempre avuto la Provincia nel cuore, ma l’ho sempre vissuta come un limite, una sorta di casa delle bambole troppo stretta, per chi non voleva conformarsi a quello che gli altri avevano già deciso io fossi o facessi. Decido di frequentare Giurisprudenza, con il sogno della Magistratura, invaghita del mito di Mani Pulite, ma la nostra terra è troppo complicata, per non imparare presto ad essere flessibile anche con i sogni e le speranze, per cui divento avvocato con una specializzazione in diritto del lavoro prima e diritto di famiglia poi, ma anomala anche nella professione e mal amalgamata alla casta degli avvocati della mia città. La politica e la cultura , i cuori pulsanti della mia esistenza, perché in un mondo che gira al contrario non posso rinunciare a dire la mia e a piantare semi di bellezza. Scrivo per diletto e per bisogno, con la speranza che prima o poi quei semi possano diventare alberi.