Il superamento di una visione culturale

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di Maria Rusolo

“Il corpo faccia quello che vuole. Io non sono il corpo, io sono la mente.”

Apro oggi questa mia riflessione, dopo tutta la caciara mediatica sulla copertina di Vanity Fair, che ha visto un nudo delicatissimo della Incontrada, con una frase di Rita Levi Montalcini, pronunciata negli ultimi anni della sua vita, in cui ormai aveva quasi perso del tutto l’udito e la vista.

Lo faccio, però andando oltre, nella convinzione che il corpo abbia una certa importanza, se è usato nel modo giusto e per vivere una esistenza piena e dignitosa, e non come mero involucro che ci accompagna. Non siamo una scatola vuota insomma, siamo il contenuto che intendiamo inserire in quella scatola, fermo restando che non ho alcun pregiudizio nei confronti di chi decide diversamente di essere solo una bellissima confezione azzurra, modello Tiffany, ci vuole tanta costanza anche in quello.

Il mio punto di vista è che dopo tutto, ed aldilà di tutto, la nostra vita debba essere completamente libera da ogni steccato o costruzione imposta dagli altri, e che se una foto di un corpo normale di una attrice, ex modella peraltro, possa servire a dare una spallata ad inutili orpelli e stereotipi culturali, quel corpo è sacrosanto e vada, anche solo per questo,protetto.

E ben vengano le donne e gli uomini che decidono di parlarne. C’è chi ha giudicato la nudità, e polemicamente ha chiesto se fosse necessario apparire senza vestiti, Dio ci scampi e liberi dai moralisti, per mostrare la propria intelligenza. Vorrei dire che evidentemente il messaggio non è passato come doveva, la Incontrada e le donne che anni fa posavano con il pancione sulle copertine delle più importanti riviste di moda, non volevano essere sottoposte ad un esame sul proprio Q.I., ma volevano e vogliono contribuire al superamento di una visione culturale che stigmatizza, opprime, che ci strizza nei corpetti con le stecche di balena, che ci impone di indossare scarpe con il tacco, gonne corte, jeans come seconde pelli, e che ci giudica se poi esponiamo la nostra “sessualità”.

Molto banalmente una foto di quel tipo non dovrebbe far assolutamente discutere, soprattutto le donne, in un mondo nel quale tutti hanno diritto di esistere, non ci sono regole oggettive su cosa sia modello estetico per eccellenza, se sia giusto o meno sentirsi a proprio agio in una taglia 38 o in una taglia 46, chi stabilisce cosa va bene e cosa no? Chi stabilisce che le donne debbano fin dalla tenera età praticare sport per essere in forma e compiacere gli uomini e non per esempio, per sviluppare il senso dell’agonismo e della competizione, chi dice che noi dobbiamo essere sacrificate sull’altare dell’apparenza e faticare più del doppio dei nostri coetanei maschi?

Nessun uomo ha il bisogno di trasmettere una immagine di quel tipo, la società non glielo chiede, o non gli impone di contrarre matrimonio o di vestire adeguatamente o di avere certe misure. Non è una opinione la mia è un fatto, indiscutibile, come la mancata parità tra uomo e donna anche nel 2020. Non sentirete mai dire ” dietro una grande donna c’è sempre un grande uomo”. E’ così, punto e non è voglia di ridurre alla solita storia della battaglia tra sessi, che non richiama particolarmente la mia attenzione, è una questione più seria, qui non ci sono guerre da combattere, ma rivoluzioni culturali da alimentare i nome di diritti non ancora riconosciuti ed attuati. Ed allora ben vengano pancioni, cellulite , tette rifatte o tette normali, perché si tratta di vita che pulsa e circola e ci rende esseri umani capaci di una riflessione.

“Essere dalla parte delle donne non significa sognare un mondo in cui i rapporti di dominio possano finalmente capovolgersi per far subire all’ uomo ciò che la donna ha subito per secoli. Essere dalla parte delle donne vuol dire lottare per costruire una società egualitaria, in cui essere uomo o donna sia «indifferente», non abbia alcuna rilevanza. Non perché essere uomo o donna sia la stessa cosa, ma perché sia gli uomini sia le donne sono esseri umani che condividono il meglio e il peggio della condizione umana.”

Nasco in un piccolo paese della provincia di Avellino, con il sogno di girare il mondo e di fare la giornalista, sullo stile della Fallaci. Completamente immersa, sin dalla più tenera età nei libri e nella musica, ma mai musona o distante dagli altri. Sempre con una battaglia da combattere, sempre con l’insolenza nella risposta verso gli adulti o verso chi in qualche modo pensasse che le regole non potessero essere afferrate tra le dita e cambiate. Ho sempre avuto la Provincia nel cuore, ma l’ho sempre vissuta come un limite, una sorta di casa delle bambole troppo stretta, per chi non voleva conformarsi a quello che gli altri avevano già deciso io fossi o facessi. Decido di frequentare Giurisprudenza, con il sogno della Magistratura, invaghita del mito di Mani Pulite, ma la nostra terra è troppo complicata, per non imparare presto ad essere flessibile anche con i sogni e le speranze, per cui divento avvocato con una specializzazione in diritto del lavoro prima e diritto di famiglia poi, ma anomala anche nella professione e mal amalgamata alla casta degli avvocati della mia città. La politica e la cultura , i cuori pulsanti della mia esistenza, perché in un mondo che gira al contrario non posso rinunciare a dire la mia e a piantare semi di bellezza. Scrivo per diletto e per bisogno, con la speranza che prima o poi quei semi possano diventare alberi.