Per chi suona la Campania

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di Gianluca Spera 

Ormai la formula del covid et impera è collaudata: l’ordinanza prima viene annunciata in maniera roboante su facebook, poi viene emessa con tono solenne e infine necessita di un chiarimento senza però fugare i dubbi legittimi dei cittadini sempre più disorientati da questa raffica di provvedimenti schizofrenici. Ora, al di là di qualche problema con la sintassi e la grammatica degli estensori, alla settantacinquesima ordinanza della serie, stanno emergendo tutti i limiti di questa normazione eccezionale. Senza voler entrare nella questione della legittimità o meno di tali provvedimenti che richiederebbe un discorso a parte, l’aumento dei casi di positività al Covid dimostra come un fenomeno pandemico non possa essere certo arrestato con proclami oppure editti.

Al contrario, può essere arginato organizzando e potenziando i servizi sanitari, accelerando le procedure di screening, aumentando il numero dei test e soprattutto individuando le categorie da testare secondo una logica, evitando ai cittadini estenuanti isolamenti domiciliari in attesa dell’esito dei tamponi con gravi ricadute sulla vita personale e professionale, ottimizzando gli spazi sui mezzi pubblici dove il pericolo di contagio è più elevato, favorendo comportamenti virtuosi ma senza stressare o addirittura criminalizzare la popolazione.

Invece, la strategia campana è stata quella di individuare il capro espiatorio di turno da offrire al pubblico ludibrio: prima i runners, poi la cd. movida, quindi i vacanzieri, infine le “bestie” che non indossano la mascherina all’aperto. Sul piano comunicativo ed elettorale, questa tattica aggressiva ha funzionato alla perfezione. Ma anche sul piano prettamente politico-amministrativo, perché ha di fatto deresponsabilizzato chi governa la cosa pubblica.

È un peccato che molti cittadini siano caduti nella trappola, complice anche una costante opera di disinformazione che si salda con la narrazione catastrofista. Insomma, in questo contesto, i cittadini sono doppiamente beffati perché sono esposti al rischio contagio e alla disapprovazione pubblica per essere sempre e comunque colpevoli di qualche accidente. Come se la vittima di un reato fosse al tempo stesso accusata del delitto. Nemmeno la mente brillante di Kafka sarebbe arrivata a concepire un simile paradosso.

Che tutto questo non abbia nulla di razionale è assolutamente secondario. In questo senso, l’ultima ordinanza, quella con cui “si blocca la movida” è paradigmatica. La Regione vieta di consumare alcolici all’esterno dei locali dopo le 22 ma permette, invece, la stessa attività al chiuso. Insomma, dove il rischio di contagio è più alto si può continuare a gozzovigliare mentre all’aperto, con le dovute precauzioni, vige il coprifuoco.

Più che un’ordinanza anti-covid, sembra una misura estrema per combattere l’alcolismo o mantenere l’ordine per strada. Così come astruse e confusionarie risultano le regole relative agli eventi, alle cerimonie (parzialmente ritirate dopo le vibranti proteste degli operatori del settore), abbondando limiti cervellotici e di complicata applicazione. L’effetto immediato di queste norme è stato solo quello di gettare ulteriormente nel panico le persone, senza tener conto di tutti i sacrifici che sono stati imposti durante questi mesi così difficili. Peraltro, anche il consenso non sembra essere così granitico come un tempo. E visto che c’è sempre una tornata elettorale dietro l’angolo, forse il presidente De Luca dovrebbe tenerne conto.

Un po’ già si è rabbonito dopo l’ultima apparizione da Vespa. Il premier in persona gli ha fatto sapere che di lockdown non se ne parla, tanto che lo stesso De Luca ha dovuto correggere il tiro ben sapendo che i suoi poteri sono limitati. Nell’ultimo monologo settimanale, il presidente, più pompiere che incendiario, pur non rinunciando a trovare il colpevole (in questo caso le forze dell’ordine che, a suo dire, non effettuano i dovuti controlli), ha minimizzato un po’ i dati degli ultimi giorni. «Il 98 % degli infettati è asintomatico». Anzi, asintomatico è stata la parola più usata nel corso del solito interminabile soliloquio. Sembra quasi un cambio di rotta rispetto ai mesi del terrore che hanno scandito la campagna elettorale.

«Preoccuparsi è dannoso come aver paura; serve solo a rendere le cose più difficili», scriveva Hemingway raccontandoci le atrocità della guerra civile spagnola. Una lettura assai consigliata per il presidente De Luca adesso che non ha più l’ansia della rielezione e potrebbe appendere definitivamente il lanciafiamme al chiodo. «Non moltiplicare gli elementi più del necessario», suggeriva saggiamente Occam, celebre per la famosa teoria del rasoio. In poche parole, complicare ciò che è semplice può essere controproducente perché aumenta esponenzialmente il rischio di sbagliare e fa perdere di vista l’obiettivo finale. Ci pensi De Luca, prima della prossima ordinanza. Il lanciafiamme permette di vincere le elezioni con percentuali bielorusse in questi tempi bui ma, sulla lunga distanza, non aiuta certo a governare o a frenare i contagi.

Gianluca Spera, classe 1978. Di professione avvocato da cui trae infinita ispirazione. Scrittore per vocazione e istinto di conservazione. I suoi racconti “Nella tana del topo” e “L’ultima notte dell’anno” sono stati premiati nell’ambito del concorso “Arianna Ziccardi”. Il racconto “Nel ventre del potere” è stato pubblicato all’interno dell’antologia noir “Rosso perfetto-nero perfetto” (edita da Ippiter Edizioni). Autore del romanzo "Delitto di una notte di mezza estate" (Ad est dell'equatore)" Napoletano per affinità, elezione e adozione. Crede che le parole siano l’ultimo baluardo a difesa della libertà e dei diritti. «L'italiano non è l'italiano: è il ragionare», insegnava Sciascia. E’ giunta l’ora di recuperare linguaggio e ingegno. Prima di cadere nel fondo del pozzo dove non c’è più la verità ma solo la definitiva sottomissione alla tirannia della frivolezza.