Ipocrisia e povertà sentimentale

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di Christian Sanna

Nel suo diario esistenziale “Il libro dell’ inquietudine” Fernando Pessoa si inquadra così  “In me ogni affetto si presenta in superficie, ma con sincerità. Sono stato sempre attore, e sul serio. Ogni volta che ho amato ho finto di amare, e ho finto con me stesso”.  La confessione del poeta portoghese è spiazzante quanto amara, cruda senza possibilità di appello; egli si indaga si scruta si narra con quasi inumana imparzialità.

L’affondo sulla conoscenza di se stessi è un atto di coraggio e di amor proprio e passa per stazioni talvolta dolorose, poichè l’indagine per scoprire la verità sull’anima è fatta di tentativi, supposizioni, suggestioni, fallimenti, delusioni. L’uomo medio, dove medio sta per mediocre e la mediocrità consiste nel lasciarsi manipolare da mode, slogan e pensieri dominanti, sovente, si imbatte nella paura di gettare il cuore oltre l’ostacolo e finisce col restare immobile sulla soglia della porta della stanza, paralizzato dall’idea di trovare disteso sul letto il proprio dolore.

In superficie non si vive meglio, forse si sopravvive di più, ma è solo la messa in scena della vita esteriore; la spettacolarizzazione dell’esistere che strizza l’occhio all’essere mentre lo tradisce con l’avere. Fossi Dio sarei terribilmente deluso ed infastidito dal comportamento umano: alla sua creazione più complessa è stato fornito tutto il necessario con l’obiettivo (miseramente fallito) di esprimere se stessa.

Perchè se un senso della vita c’è, e non è solo una lunga ricerca chimerica, questo potrebbe somigliare al parto. Partorire se stessi, quindi raggiungere una profonda consapevolezza ed una straordinaria coscienza, potrebbe essere il vero senso della vita. Conosco a memoria i codici dell’ipocrisia; la tattica dell’ipocrita contempla l’attorialità e la catapulta in una specie di teatro del vero, dove ogni cosa non è come sembra. L’ipocrita ti pugnala alle spalle, mentre inginocchiato ti bacia la mano. Recita un rosario di complimenti con annessa sottolineatura che somiglia ad una freddura, una puntura di spillo: Sei stato bravo a superare l’esame, complimenti! Però le domande non erano difficili, il professore mi sembrava di buon umore.

L’ipocrita è un abile selezionatore di alibi con cui pensa di salvare se stesso dalla propria mediocrità; per questo tipo di persone, l’eventuale insuccesso è sempre colpa degli altri. Una malattia l’invidia che non risparmia nessuno, di certo non classista ed abbastanza equamente divisa fra la gente; si misura con la pochezza di spirito, una devastante insicurezza nei propri mezzi, la sensazione dilagante di avere dei limiti e delle incapacità che insorgono, la più totale povertà sentimentale. Un individuo dotto recita un’ipocrisia forse più subliminale, meno volgare, ma assolutamente non immune allo smascheramento: le vanità umane tradiscono sempre, anche la recitazione più verosimile. Prendete il fenomeno Politically Correct, ormai abusatissimo. Si è riuscito negli anni a dare un’accezione negativa a questo termine, quando in principio non era affatto così: oggi viene visto come una censura preventiva, una specie di bavaglio o comunque di forma di ipocrisia.

Spesso grida allo scandalo chi non ha nè i requisiti morali nè una storia personale che supporti una certa linea di pensiero o di azione. Nella celebre Bocca di Rosa c’è un passo che mi ha sempre colpito molto e che ritengo opportuno ” Si sa che la gente dà buoni consigli sentendosi come Gesù nel tempio. Si sa che la gente dà buoni consigli se non può più dare il cattivo esempio”. Nel tempio, in questo tempio devastato dalle pochezze culturali e sentimentali, fra le macerie di valori antichi che non saranno mai anacronistici, si muove il serpentello.

Striscia subdolamente, sornione è pronto a scattare e a mordere trasferendo nell’altro il veleno che esso ha dentro. Piccole invidie e qualche gelosia represse scorrono a fiumi nel nostro letto di incontri e di relazioni pubbliche e private, dove l’invidiante soffre di ansia da prestazione con conseguente disfunzione della sincerità. Pochi hanno il coraggio e la capacità di dire a chiare lettere come stanno le cose, pochissimi si impegnano a risolvere le crisi, a fornire soluzioni ai problemi. L’invidia è la malattia del secolo: un tempo ad un altro si invidiava l’auto nuova, i soldi, il prestigio, la fidanzata bella. Oggi l’invidiante ad un altro invidia persino il carattere, la capacità di relazionarsi con gli altri. Dell’ altro, molti invidiano la spensieratezza o l’intelligenza, il fascino o la simpatia, la bontà o la cultura. L’invidia, partita dal desiderio di possesso, mira all’essere e, non potendolo raggiungere, cerca di sporcarlo, di renderlo meno appetibile. E che dire di un altro fenomeno, il Radical Chic?

Ormai mi ritrovo in piena sindrome da ostentazione culturale e non mi resta che francesizzarlo in Gauche Caviar, in italiano Sinistra al caviale. Quanti ne conosciamo? Il rapper italiano Frankie hi-nrg mc cantava nella famosa Quelli che ben pensano “Sono intorno a noi, in mezzo a noi. In molti casi siamo noi”. Il radical chic si muove all’interno della ragnatela sociale con la convinzione di una certa superiorità culturale (in taluni casi solido vuoto di pensiero confezionato da due o tre nozioni lette da qualche parte) ed un ostentato disprezzo del denaro (peccato che molti di questi signori siano benestanti). Per non parlare del modo di vestire fintamente trasandato, ma curato nei minimi particolari.

Ora io non sto dicendo che non si possa pensare ai mali del mondo dal bordo di una piscina di un hotel a cinque stelle, tuttavia risulta complicato spiegarlo a chi soffe davvero, a chi vive nel disagio più totale. C’è una stonatura evidente fra ciò che si è e come si appare. Insomma, tutta la partita si gioca sulla credibilità; bisogna intonare le idee ai comportamenti, le parole alle azioni. Le troppe contraddizioni disorientano e gettano nuvole anche sulle buone intenzioni. Citare un aforisma di Kafka non significa conoscerne il repertorio letterario, ascoltare Avec le temps di Ferrè non vuol dire essere esperti di cantautorato francese. Le cose sono molto più semplici: è piaciuta la frase di Kafka ed è piaciuta la canzone di Ferrè. Stop. Per l’approfondimento bisogna avere il coraggio di inabissarsi; scendere in profondità. Avere questo tipo di coraggio, con la consapevolezza che ci può essere il rischio di perdersi e di non risalire più.

Provo a descrivermi in una frase, ma è un pò come rinchiudere il mare in un bicchiere. Allora potrei definirmi "Un solitudinista visionario animale sociale ed un cercatore di spiritualità, tutto occhi ed inquietudine, perdutamente innamorato dell'Idea che non è ancora riuscito ad afferrare, col cuore di cristallo. Fregato dai sentimenti". Ritengo superfluo aggiungere i titoli di studio conseguiti, i lavori svolti, gli eventi culturali organizzati e presentati, gli impegni nella politica e nel sociale. E se a qualcuno sta balenando in mente l'idea ( sbagliata) che io possa essere un insopportabile presuntuoso, sappia che è appena caduto nella rete che ho preparato. Io voglio che a parlare per me siano gli articoli; i lettori più attenti ci troveranno frammenti d'anima.