di Sarah Galmuzzi
C’e’ un filo rosso che collega la bombastica Beyoncé al decisamente più gracile Andrea Sannino, menestrello nostrano un poco De Crescenzo un poco Scugnizzi, voce limpida, modi giusti, faccia da bravo ragazzo. E no, non è il fondoschiena da urlo. Ma la scelta di girare un video musicale in un museo: rispettivamente il Louvre e Il Museo di Capodimonte.
Entrambi hanno fatto storcere il naso a chi, in barba a qualunque principio di inclusione delle masse, sostiene che i musei siano luoghi destinati a pochi, solo a chi li possa comprendere, ma ciò nonostante macinando consensi in una buona parte della popolazione che plaude all’incontro tra due mondi apparentemente così distanti. Chi scrive crede fermamente che nei musei ci dovrebbero organizzare anche i tornei di burraco, che diciamocelo -stamm accussi’ ‘nguaiate che più gente ci entra dentro meglio è – a patto però che del Museo in questioni non si snaturi l’identità proponendone una versione raffazzonata, alterata e sciatta ma soprattutto che l’operazione muova massa critica, visitatori, soldi.
Che si trasformi in quella cosa che a Napoli non sappiamo proprio fare come si deve, e che il resto del mondo chiama marketing. Che infatti i francesi – che andranno pure in giro con la baguette sotto l’ascella ma scemi non sono – le porte del loro fantamuseo le hanno spalancate per Beyoncé , mica cotica.
Parliamo di un’operazione pazzesca, che ha richiesto una vagonata di soldi per girare un video (bello) che ad oggi conta oltre 235 milioni di visualizzazioni. Non paghi, i cugini d’oltralpe hanno organizzato nei mesi successivi all’uscita del video dei tour dedicati nei quali i visitatori hanno avuto l’opportunità di camminare nel solco di Beyoncé e principe consorte e apprezzare e conoscere dal vivo tutti i capolavori già presenti nel video. Non ci é dato sapere quali siano le azioni in campo del direttore di Capodimonte, magari si inventa un fatto incredibile e ci lascia tutti a bocca aperta, ma, occorre convenire, che al momento tutta la querelle si é esaurita in un dibattito della durata di 72 ore tra coloro che si ritengono personalmente insultati per la profanazione del tempio borbonico e quelli che invece quando mai la cultura è di tutti.
Ma provando ad accantonare per un attimo la questione meramente commerciale che i soldi come dice il vecchio adagio non fanno la felicità, veniamo alla questione che forse mi preme di più, ed è quella estetica. Lo avete visto il video di Sannino? Non è la mia materia, ma, chiamata a descriverlo, lo direi ingenuo. https://youtu.be/0WQQMRGkKKQ
Lui col foulard, lei vestita come il centroavanti del Sassuolo, come ha meravigliosamente detto qualcuno, una storia d’amore consumata ai piedi della colonna alla quale è legato un Cristo sfinito e solo. E adesso guardatevi anche un poco quello di Beyoncé .https://youtu.be/kbMqWXnpXcA
Non solo lo scarto di qualità è siderale, ma c’è una cosa a cui noi storici dell’arte teniamo assai ed è la necessità del dialogo tra un’opera e il contesto in cui insiste, dialogo -non è necessario precisare- del tutto assente nel lavoro di Sannino e raffinatissimo in quello di Beyoncè. Perché un’operazione nel suo complesso funzioni, deve esserci un’armonia tra le parti, bisogna escludere – a meno che non sia proprio ricercato – il rischio distopico.
Per capirci: una mucca funziona su un prato, non a spasso per il Centro Direzionale. Dice eh ma quello Sannino fa il cantante, che ne sa. E infatti Sannino il cantante deve fare, gli riesce anche molto bene. Il problema è stato non affiancare al suo staff qualcuno che se li portasse per mano, li guidasse in scelte estetiche, registiche, artistiche. Qualcuno in grado di valorizzare, dunque proteggere, un bene tanto prezioso. Qualcuno in grado di contenere l’ira funesta della nostra élite intellettuale, qualcuno bravo a trasformare una canzone in un’opportunità , qualcuno in grado di spegnere il fuoco delle polemiche con l’idrante della qualità, qualcuno in grado di evitare un drammatico effetto prediciottesimo.