La confusione e la paura…

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Non conta cambiare gli uomini al potere, ma il concetto stesso di potere”

Il potere nella sua essenza mostra tutta la sua fragilità in questa fase comunemente definita di emergenza. La confusione generata dalla paura consente a chi guida un Paese di agire senza nessuna forma di reale controllo di quello che si compie o si dispone, ci si affida all’autorità costituita con il capo chino, senza alcuna capacità di reazione, come ciechi che si lascino condurre in uno spazio che non conoscono e di cui non vedono i pericoli.

Si perde la capacità di guardare le cose per come sono, si perde la capacità razionale di comprendere quello che accade, si finisce preda degli eventi, come quando in una burrasca si è soli in mezzo al mare e non si sappia condurre la nave. Allora chiunque va bene, chiunque si possa sostituire a noi stessi, perché la paura paralizza ed allora meglio che vi sia qualcuno che decide , che deresponsabilizzi, che comandi a bacchetta senza spiegare bene le ragioni, che ci spersonalizzi al punto da trasformarci in automi senza futuro e senza speranza.

Le libertà possono andare in un cassetto, i diritti si possono andare a fare un giro, conta che si resti vivi e vegeti, conta che seppure privati del diritto di respirare a pieni polmoni si possa quanto meno avere un poco d’aria. Sogni, speranze, futuro, sono parole vuote, prive di significato, dimenticate, conta svegliarsi domani e prendere il caffè, senza sentirne più il profumo, senza gustarne l’aroma. Tutto diventa piatto ed uguale al giorno precedente, e si resta in attesa che qualcuno dica cosa fare e come farlo.

Si insegna che la storia va letta e compresa per evitare di ripetere gli stessi errori del passato, si insegna che la storia è il monito alle future generazioni per comprendere il mondo e migliorarlo, ed in questo momento si ha la sensazione pungente che la storia si stia ripetendo identica senza aver la possibilità di scegliere il finale. Chiusi in un giallo in cui si arriva all’ultima pagina di corsa , il cadavere è lì dinanzi a noi, e nonostante tutto non si è in grado di capire chi sia l’assassino, salvo accorgersi quando è ormai troppo tardi che la pistola è lì, ed ha appena esploso il colpo, lì vicina pronta ad essere usata ancora ed ancora, ma che c’è una sola vittima ed un solo colpevole, basta guardarsi allo specchio per comprenderlo.

Qualcuno dice e scrive che si tratta di questioni di lana caprina, che il pericolo è vicino e che le bare scivolano lungo le strade, e che al cospetto di queste situazioni tutto deve passare in secondo piano, e che chi fa notare certi scenari non ha umana pietà ed è preda di una sorta di delirio di onnipotenza. E’ l’esatto contrario chi ha a cuore l’essere umano in tutta la sua complessità osserva e non scuote il capo, comprende e si spoglia dell’interesse individuale per la ” salvezza” e guarda il mondo oltre l’immediatezza pensando al futuro, si rimbocca le maniche e guarda in prospettiva, aldilà del sonno della ragione che produce i mostri. I mostri dell’ infanzia sono liberi tra la gente, hanno lasciato l’armadio buio delle stanze dei bambini ed a qualcuno spetta il compito di soffiare forte per farli sparire nel nostro inconscio, perché la coscienza emerga più forte e coraggiosa di prima.

“Non si può mai sapere in anticipo di cosa siano capaci le persone, bisogna aspettare, dar tempo al tempo, è il tempo che comanda, il tempo è il compagno che sta giocando di fronte a noi, e ha in mano tutte le carte del mazzo, a noi ci tocca inventarci le briscole con la vita, la nostra.”

p.s. L’autore è affetto da delirio da quarantena e pertanto declina ogni responsabilità!

Nasco in un piccolo paese della provincia di Avellino, con il sogno di girare il mondo e di fare la giornalista, sullo stile della Fallaci. Completamente immersa, sin dalla più tenera età nei libri e nella musica, ma mai musona o distante dagli altri. Sempre con una battaglia da combattere, sempre con l’insolenza nella risposta verso gli adulti o verso chi in qualche modo pensasse che le regole non potessero essere afferrate tra le dita e cambiate. Ho sempre avuto la Provincia nel cuore, ma l’ho sempre vissuta come un limite, una sorta di casa delle bambole troppo stretta, per chi non voleva conformarsi a quello che gli altri avevano già deciso io fossi o facessi. Decido di frequentare Giurisprudenza, con il sogno della Magistratura, invaghita del mito di Mani Pulite, ma la nostra terra è troppo complicata, per non imparare presto ad essere flessibile anche con i sogni e le speranze, per cui divento avvocato con una specializzazione in diritto del lavoro prima e diritto di famiglia poi, ma anomala anche nella professione e mal amalgamata alla casta degli avvocati della mia città. La politica e la cultura , i cuori pulsanti della mia esistenza, perché in un mondo che gira al contrario non posso rinunciare a dire la mia e a piantare semi di bellezza. Scrivo per diletto e per bisogno, con la speranza che prima o poi quei semi possano diventare alberi.