di Rosario Pesce
La politica, l’arte, l’economia, ogni momento di vita sociale, che noi abbiamo la fortuna di vivere, deve realizzare una visione dell’uomo, certo una visione dinamica ed innovativa, non statica e monolitica.
In questi mesi, che abbiamo alle nostre spalle, nel corso dei quali abbiamo dovuto fronteggiare il pericolo del Covid, in non pochi momenti abbiamo avuto la percezione che una vera e propria visione del problema non ci sia stata, per cui molte volte, fin troppe volte, si è proceduto in ordine sparso.
Gli alibi e le scusanti, ovviamente, non mancano.
La pandemia ha colpito l’Europa cento anni dopo circa l’ultimo evento analogo, quello della febbre spagnola, per cui è evidente che, almeno nei mesi iniziali della crisi, ci sia stata molta incertezza.
Peraltro, gli stessi medici, a tutt’oggi, non hanno un quadro completo della patologia, per cui non solo non si conosce una terapia standard, ma finanche intorno al vaccino i dubbi – invero – non mancano.
Inoltre, si sa bene come, nelle moderne democrazie, gli assetti costituzionali prevedono sovente dei meccanismi di bilanciamento dei poteri, che talvolta possono condurre i governi nazionali e quelli regionali in direzioni diverse, se non manifestamente contrastanti l’una con l’altra.
Ed, allora, venendo meno il necessario coordinamento di competenze e poteri, ineluttabilmente diviene difficile marciare in un unico verso, per cui l’identità di una visione diviene un feticcio.
Si procede a tentoni; una volta in una direzione per soddisfare un interesse, un’altra volta in quella opposta, per non mortificare del tutto l’interesse opposto, ma la direzione vera e propria non c’è.
È, questo, un difetto italico: a volte, per tenere tutti insieme, chi dovrebbe indicare un orientamento di fondo, non lo fa per evitare di guadagnare dissensi e malcontenti, ma è fin troppo ovvio che, procedendo in questo modo, non si giunge a nessun risultato utile per un’intera comunità, che invece attende il concretizzarsi della visione risolutiva, purché la stessa sia organica e mostri l’intelligenza e l’acume che l’ha inspirata.
E, così, anche ai tempi del Covid in parte si è fatto: la comunità scientifica divisa su molti aspetti essenziali; i politici costretti a rincorrere questo o quell’aspetto unilaterale del problema; la pubblica opinione disorientata come mai in precedenza.
Ed, allora, si inizi a ragionare come identità collettiva e non come singola monade, perché il Paese, le comunità locali, le persone attendono una soluzione alla complessa vicenda, che ne è derivata, che ci consenta la via d’uscita sanitaria e quella socio-economica alla crisi più importante dell’ultimo secolo, possibilmente in tempi stretti.