La potenza evocativa della giornata della memoria

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di Maria Pia Brunelleso

Nel 2005, in occasione del 60° anniversario della liberazione, da parte delle truppe sovietiche, del Campo di Concentramento di Auschwitz, diventato con la sua drammatica potenza evocativa, il simbolo universale della tragedia ebraica, l’ONU, con la risoluzione 60/7, ha decretato, a livello internazionale, il 27 gennaio, come Giorno della Memoria, dedicato alle vittime dell’Olocausto.

In Italia, già dal 2000, con la Legge n. 211 del 20 luglio, questa data ha indicato le finalità della commemorazione “in modo da conservare nel futuro, la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia del nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere” (art.2). Il 6 marzo, invece, come ogni anno, dal 2012, sarà la giornata europea dei “Giusti fra le nazioni”, dedicata alle migliaia di persone, non ebree, che spesero e rischiarono la loro vita contro ogni forma di persecuzione e in difesa dei diritti umani, proteggendo e salvando molti ebrei, senza alcun interesse economico.

Col trascorrere degli anni e col conseguente assottigliarsi del numero dei sopravvissuti ai campi di sterminio e accogliendo il pensiero della senatrice a vita Liliana Segre, è forte il timore che, in quest’epoca di negazionismi, revisionismi e rigurgiti fascisti e razzisti, l’olocausto cada nel dimenticatoio o, peggio, nella totale “INDIFFERENZA”, parola scritta, appunto, a lettere cubitali sul “Memoriale della Shoah”, un’area museale edificata a ridosso del tristemente famoso Binario 21 della Stazione Centrale di Milano, come luogo di memoria, dialogo, interazione tra culture e religioni diverse, nella comune fede nell’uomo e nelle sue capacità di riscattarsi dagli errori compiuti, prospettando un futuro di pace, come valore imprescindibile. L’indifferenza, il girarsi dall’altra parte di fronte ai drammi che coinvolgono parte dell’umanità, è cosa purtroppo comune a molte epoche, anche alla nostra. Allora, i treni in partenza, per gli angosciati passeggeri avevano come destinazione l’ignoto.

Ma ancora oggi accade che, per una parte dell’umanità, il viaggio abbia una valenza incognita e spesso, un epilogo tragico. Ancora oggi, se si sopravvive, la destinazione è nell’inferno dell’indifferenza, o, peggio, dell’odio razziale, quali pària nelle società occidentali.  Hannah Arendt, filosofa e storica ebrea rifugiata in America, scriveva che “il male è nell’assenza del pensiero che è l’unico antidoto contro la massificazione e il conformismo che sono le forme moderne della barbarie”. Il suo messaggio è quantomai attuale, sottolineando l’esigenza che l’esistenza di ciascuno non prescinda da un contesto pluralistico, costantemente in dialogo con l’alterità. Se le testimonianze dirette di quello che è stato lo sterminio di sei milioni di ebrei, inevitabilmente diminuiranno, è necessario coltivare la storia, i documenti, i verbali dei processi, visitare i luoghi, leggere i libri dei sopravvissuti.

Di straordinaria intensità emotiva e tale “vis” tragica da rimanere sconvolti, sono, ad esempio,  le opere di Elie Wiesel, grande filosofo, saggista, attivista e Premio Nobel per la Pace nel 1986, per la sua attività dopo la guerra, rivolta essenzialmente ed instancabilmente, alle nuove generazioni, al fine di trasmettere loro i valori della pace, del coraggio, della memoria per testimoniare nel presente e preservare nel futuro, la dignità e la centralità ontologica dell’essere Uomo.

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