L’attesa è un’altra vita…

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di Christian Sanna

L’uomo, nel cercare di colmare un vuoto lo amplifica, col risultato di ammalarsi due volte della stessa solitudine e cioè della sindrome del pensiero della paura di duellare con se stessi.

Il momento tanto temuto dell’incontro con se stessi viene giornalmente stordito da mille rumori, voci, musiche, canzoni e “soffocato” dal lavoro e dalle passioni, dalle molteplici cose da fare; alcune utili, altre superflue. Così l’attesa viene percepita come un ostacolo, un fastidio. L’essere umano ha costante bisogno di riempire il tempo: a volte per non pensare, altre per evitare di incontrarsi e di spingersi fino agli abissi, altre ancora semplicemente per esorcizzare l’attesa.

Ma l’uomo ignora che l’attesa è incolmabile e come il vero amore è insostituibile. L’attesa può essere dolce e somiglia alla creazione; una donna in dolce attesa è Dio che si è preso del tempo per fare il miracolo. L’attesa può essere imbarazzante: nel momento del primo bacio dove due salive fanno conoscenza o quando cadono i vestiti sul pavimento e due corpi ancora sconosciuti, ma nudi e quindi senza difese e privi di armature, si preparano ad intercciarsi e ad ovattarsi per qualche ora dalle ingiustizie del tempo che vola nella felicità e sembra un treno a vapore nelle difficoltà.

L’attesa è ansiosa prima di un esame, un responso, una sentenza ed è quasi sempre incerta, perchè il futuro non è prevedibile e alla fine del viale di qualsiasi ragionamento o valutazione c’è l’imponderabile.  L’attesa è eterna, ma l’uomo non lo sa; egli la sottovaluta e pensa che sia inutile. Un momento da accantonare e da dimenticare appena finisce. L’attesa non è degna delle lancette dell’orologio, perchè è uno spazio vuoto. Niente di più sbagliato! L’attesa è tutto; è il tempo che ci invita al raccoglimento.

Spesso le attese, caricate di mille speranze, sono migliori del fatto compiuto. Perchè nelle attese l’uomo può decidere di metterci i sogni,  gli entusiasmi, gli ottimismi. Funziona come con certi sogni; la mia provocazione è che forse alcuni è meglio che non si realizzino, perchè conservino quella purezza e quella magia che la realtà, assai terrena, tende a sporcare. Come sosteneva Michelangelo ” L’attesa è il futuro che si presenta a mani vuote” e qui c’è la sottolineatura al concetto di attesa passiva, dove non ci sono mille azioni da compiere, ma è ancora rimandato l’incontro con se stessi; in questa condizione ci si ritrova davanti  ad un sognare stantio, un eccessivo affidarsi alla speranza come se a toglierci le castagne dal fuoco debba pensarci il destino con un miracolo o un colpo di fortuna.

Per Seneca “Gli uomini non vivono, ma sono sempre in attesa di vivere: rimandano tutto al futuro”, chiaro riferimento alla passività dell’uomo che smette d’essere “faber fortunae suae”. Nella pittura un grande interprete dell’attesa e del silenzio è stato l’artista americano Edward Hopper, basti pensare ad alcuni suoi dipinti fra i quali: Summertime (1943), Eleven A.M. (1926), Room in Brooklyn (1932).  In Automat (1927) una donna elegantemente vestita, seduta da sola ad un tavolino tondo, beve un caffè e sembra assorta nei suoi pensieri. Il punto di vista è di fronte alla protagonista e chi osserva l’opera può tranquillamente proiettarsi lì in quella sala per sbirciare la solitudine della donna e magari chiedersi se sta incontrando se stessa o più semplicente aspetta qualcuno che si sta facendo desiderare.

Se provassimo a calcolare tutto il tempo che abbiamo speso a fare la fila in posta o in banca, dal medico, al supermercato, per trovare un parcheggio in queste città impossibili, verrebbe fuori come risultato che l’attesa è un’altra vita. Totalizzeremmo un’altra esistenza. Ma aspettare è ancora un segnale di vita, significa che ci si aspetta qualcosa dal futuro e che la speranza non è perduta; Cesare Pavese la definiva addirittura ” un’occupazione”, evidenziando come  “Aspettare è ancora un’occupazione. È non aspettare niente che è terribile”.

Così, a furia di aspettare qualcuno o qualcosa, rischiamo quel che il poeta portoghese Pessoa chiamava “mal d’universo” , ma bisogna saperla mantenere viva l’attesa, donandole nuovi stimoli, sottoponendola a continue sollecitazioni. Siamo tutti destinati ad aspettare, nessuno escluso: i poeti sperano nella sera per farsi visitare dalle Muse e quante notti solitarie ad aspettare davanti ad uno scrittoio, gli innamorati vivono tutto il giorno con la testa fra le nuvole nell’irrefrenabile aspettazione del prossimo incontro, gli artisti aspettano il momento giusto per afferrare l’Idea.

Chiunque aspetta qualcuno e si aspetta qualcosa; anche in questo le donne sono maestre, per nove mesi aspettano qualcuno, poi, per tutta la vita, si fanno aspettare. Concludo questo breve viaggio nell’attesa con i versi di  Whitman, il cui romanticismo spero ammortizzi almeno un pò del tempo impiegato ad aspettare e con un proverbio cinese che mi auguro sia di buon auspicio per quanti non si sono mai arresi ad un passato ed ad un presente difficili.

Se non mi trovi subito non scoraggiarti / Se non mi trovi in un posto cerca in un altro / Da qualche parte starò fermo ad aspettare te.

(Walt Whitman)

 

A chi sa attendere, il tempo apre ogni porta.

(Proverbio cinese)

Provo a descrivermi in una frase, ma è un pò come rinchiudere il mare in un bicchiere. Allora potrei definirmi "Un solitudinista visionario animale sociale ed un cercatore di spiritualità, tutto occhi ed inquietudine, perdutamente innamorato dell'Idea che non è ancora riuscito ad afferrare, col cuore di cristallo. Fregato dai sentimenti". Ritengo superfluo aggiungere i titoli di studio conseguiti, i lavori svolti, gli eventi culturali organizzati e presentati, gli impegni nella politica e nel sociale. E se a qualcuno sta balenando in mente l'idea ( sbagliata) che io possa essere un insopportabile presuntuoso, sappia che è appena caduto nella rete che ho preparato. Io voglio che a parlare per me siano gli articoli; i lettori più attenti ci troveranno frammenti d'anima.