Lo smart working e la sindrome della grotta

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di Mirko Torre

Col passare degli ultimi due anni, complice la pandemia e le restrizioni, lo smart working è entrato di diritto tra le nostre abitudini piu diffuse. Quasi tutte le aziende infatti hanno attuato questa nuova forma di “lavoro agile” per permettere ai propri dipendenti di poter lavorare in modo sicuro, rispettando quindi le norme di sicurezza della pandemia, e di poter essere comunque produttivi anche da casa.

Inutile dire che questa scelta ci ha abituati molto bene, immaginate di lavorare comodamente dalla propria scrivania di casa, ecco questo è quello che gran parte degli italiani hanno fatto e stanno continuando a fare da un anno e mezzo, e molti di loro non intendono assolutamente tornare alla vita d’ufficio, nonostante le misure restrittive ormai siano diminuite e stiano permettendo una riapertura del paese sempre più grande.

E’ stata definita sindrome “della capanna o della grotta”, cioè il rifiuto ad uscire di casa, rimanendo aggrappati a quella che è diventata nel tempo la propria zona di comfort, e questo è quello che sta succedendo (in casi eccezionali) a molti italiani, mentre altri semplicemente hanno cominciato a percepire il lavoro in modo diverso, è innegabile infatti che lavorare da casa, anche se solo alcuni giorni al mese, aumenterebbe la propria idea di libertà, modificando comunque orari di lavoro e di svago, seppur in linea piuttosto teorica.

C’è da aggiungere anche la parte ambientale, secondo alcuni studi infatti il lavoro da casa contribuirà nel prossimo futuro, se questa strada verrà percorsa, a diminuire le percentuali di incidenti, consumo di acqua ed energia e consumo di carburanti per le auto aziendali.

Lo smart working sembra essere diventato a tutti gli effetti il “futuro” del mondo del lavoro, tanto che alcune aziende si stanno già attivando al fine di modificare o regolare i contratti dei propri dipendenti, per rendere appunto effettivo il passaggio tra il lavoro come lo conosciamo e il cosiddetto lavoro “agile” degli ultimi tempi.

Quello che è certo è che la pandemia, e tutte le chiusure attuate dal governo, hanno modificato e stanno modificando anche le abitudini più banali che riempivano le nostre vite, come appunto quella di uscire per andare in ufficio, e questo sembra essere solo il primo passo verso un futuro diverso da come lo immaginavamo prima della diffusione del covid-19.

La domanda che sarebbe da porsi è se effettivamente il nostro paese sia  pronto per un salto del genere, che potrebbe sì portare grossi benefici sia ai dipendenti, sia agli imprenditori, ma cambierebbe di gran lunga l’idea di “lavoro” rischiando di cadere nel “burnout”, e cioè l’incapacità di scindere tra lavoro e famiglia, portando di fatto il lavoratore a non avere più orari e a dimenticare cosa vuol dire “staccare” da lavoro.

Mirko Torre, classe 1997, nato a Roma in piena generazione Z, appassionato di calcio, musica e del mondo. Studente universitario, cerco di dare un senso a quello che per me è prima una passione e poi un sogno, la scrittura.