Pandemia for dummies: il COVID-19 raccontato al bar dello sport – di Mario Aiello – Il Domenicale news

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di Mario Aiello

Più o meno due anni fa, di questi tempi, le agenzie di informazione mondiali cominciavano a battere le prime notizie su un nuovo virus della famiglia dei corona. Un ceppo noto da quasi venti anni quello della SARS, di matrice (anche) aviaria, eppure le mutazioni dell’ultimo COVID-19 (all’anagrafe COrona Virus Disease 19) hanno messo in difficoltà medici e comparti sanitari sin dalle prime apparizioni.

I sintomi sono pressappoco gli stessi del predecessore: affezioni influenzali, febbre, mal di gola, tosse. In alcuni casi ai aggiungono nausea, vomito, manifestazioni diarroiche e generici disturbi intestinali. Poi la dispnea, la mancanza d’aria e le difficoltà respiratorie, causate dalla diffusa quanto seria polmonite ad opera del virus. Di qui la morte certa nei casi più complessi e per le categorie a rischio (anziani, malati cronici, immunodeficienti, affetti da patologie pregresse, e così via), mentre per gli altri sembra una roulette russa: ragazzi più o meno giovani e in perfetta salute deceduti, è cronaca; persone avanti con l’età e qualche acciacco sopravvissute, pure questa è cronaca.

In principio dunque si guardava ad oriente, Wuhan in Cina nello specifico, il mercato degli animali come palcoscenico del possibile “salto”, ovvero il passaggio che il virus fa quando dall’animale passa all’uomo. C’era sì perplessità, ma con la tipica leggerezza d’animo di chi puerilmente pensa “Dai, sta accadendo in Cina. È un problema loro. Noi siamo lontani, stiamo a posto”. In Italia ragionamenti del genere sono all’ordine del giorno, fa parte della nostra cultura caciarona e un po’ scapestrata. Tuttavia sarà proprio il Belpaese, a inizio 2020, a diventare il più grande focolaio pandemico d’occidente con il primo caso accertato in Europa (in quel momento) di COVID-19 a Codogno in Provincia di Lodi, Lombardia. Successivamente le proporzioni demografiche e le possibilità economico-sanitarie dei vari paesi europei e mondiali stileranno ben altre statistiche. Numeri agghiaccianti. Uno su tutti gli oltre cinque milioni di morti nel mondo. 5 Milioni, cioè 5’000’000. Magari visivamente fa un altro effetto (fonte WHO).

Qui è necessario soffermarsi per una riflessione: non abbiamo un quadro reale di cosa stia accadendo nel continente africano e nei paesi cosiddetti del terzo mondo. Certo, al netto di alcune evidenze diffuse a macchia di leopardo. Il censimento dei morti e dei contagi da quelle parti è pressoché impossibile da decretare in maniera precisa e scientifica come accade, forse, nei paesi sviluppati. Chiusa parentesi.

Sulle origini della malattia, luoghi, tempi e modalità di diffusione, le ipotesi sono diverse e non senza ostacoli ideologici di natura prettamente politica messi in piedi dai governi interessati. La storia ci insegna: la Cina attese diversi mesi tra il 2002 e il 2003 per denunciare all’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) la scoperta del SARS-Cov-1. Gli effetti furono devastanti, per fortuna rimasero per lo più circoscritti all’estremo oriente; Dall’altra parte USA e altri temerari europei sulle prime minimizzarono, poi confutarono ed infine accusarono trame inverosimili alla controparte. La situazione attuale non è tanto dissimile e di certo il clima di tensione non aiuta.

Tuttavia la buona sorte ci assiste. Dietro tante primi attori egocentrici, pronti a creare scompiglio sociale e politico, c’è un enorme base di professionisti, ricercatori, scienziati e persone equilibrate che in qualche modo ha comunque dimostrato di avere solide fondamenta.

Dai mesi del primo lockdown (Marzo/Maggio 2020) fino ad ora ci sono stati circa duecentosettanta milioni di contagi con un rapporto per difetto infetti/deceduti di 50:1. In parole povere, in questi due anni, un morto ogni cinquanta contagiati. Se un contagiato è paragonabile ad un ferito, siamo praticamente in una guerra. Una guerra che miete troppe vittime.  Il contagio, ahinoi, resta pandemico e non ci sono segnali che a breve diventi endemico. Le famose “ondate” sono ormai diventate quattro, presentandosi in modo altalenante, seguendo sia la stagionalità (peculiare di un virus a matrice influenzale) che gli errori di contenimento fatti dai vari governi che gestiscono la popolazione. Tradotto: normale ammalarsi di più in determinati periodi dell’anno; altrettanto normale aspettarsi aumento dei contagi dove non ci sono limitazioni. Tornando alle ondate, ce ne aspetta almeno un’altra prima dell’Estate e con ogni probabilità un’ulteriore il prossimo Autunno.

I vaccini, anche se con un’efficacia inaspettatamente limitata nel tempo, hanno ridotto l’impatto sanitario e la mortalità in tutti i luoghi in cui la popolazione ha potuto avervi accesso con percentuali alte. Il resto della partita, non ci crederà nessuno, è stato (ed è) tutto nelle mani delle odiate mascherine (che nel 2020 hanno reso la classica influenza una sorta di “sentito dire”), del distanziamento sociale e degli accorgimenti evergreen che da ventiquattro mesi a questa parte ci ripetiamo come un mantra: non toccarsi gli occhi, il naso e la bocca prima di aver lavato le mani; evitare contatti con estranei; evitare assembramenti nei luoghi chiusi; e via discorrendo.

Con queste brevi premesse, è facile intuire che la pandemia di Sars-Cov-2 non è solo ed esclusivamente una questione di salute pubblica.

Sicuramente i contraccolpi del COVID-19 hanno fatto tanti danni dal punto di vista sociale ed economico. Le restrizioni stringenti delle prime fasi hanno messo in crisi tantissime famiglie privandole sia della convivialità degli affetti extra coabitativi, che della dignità del lavoro. Imprese e fabbriche di ogni natura chiuse a tempo indeterminato. Insomma un’ecatombe. Senza vagliare le ripercussioni psicologiche nei singoli individui.

Col tempo la massiccia campagna vaccinale ha reso le cose leggermente migliori, lasciando il testimone ad altre afflizioni quantomeno curiose. Nascono così i vari No-Vax e No-Pass. Gruppi più o meno organizzati che manifestano per le loro posizioni contro l’eventuale obbligo vaccinale e/o le ipotesi coercitive dell’applicazione del sistema di controllo denominato “green pass”. Posizioni legittime, non si discute, ognuno deve poter avere un proprio pensiero. Il problema nasce quando le azioni di chi promuove determinati atteggiamenti mettono a rischio la salute, le economie e la socialità della maggioranza (sensibile) che è invece su posizioni del tutto opposte. Da una parte l’80% circa di italiani vaccinati che, magari controvoglia e con sacrificio, si sono abbracciati ad una croce mistica che probabilmente avrebbero evitato volentieri; dall’altra una minoranza sparuta che, a causa dell’elevata trasmissibilità del virus, unitamente alla capacità di uccidere, può continuare a creare problemi di contenimento e focolai. I vaccinati si ammalano meno e sono meno contagiosi dei non vaccinati, ma possono comunque ammalarsi e morire.

Non è il caso di soffermarsi su argomentazioni che inneggiano al “benaltrismo”, né prenderci a cattive parole immaginando metropolitane piene da far schifo ed altre realtà invece ridotte all’oblio o alla solitudine. È innegabile che i mezzi di trasporto pubblici, come le attività pubbliche in toto, specie le scuole, sono in totale sofferenza. Spulciare dati o numeri a caso non ci aiuta. Le uniche fonti attendibili sono e restano quelle dei canali governativi ufficiali, o dell’OMS per quanto concerne il fattore squisitamente medico. Ora, fantastichiamo, siamo al bar dello sport, ragioniamo per logica ed elementi semplici, provando a minimizzare barbaramente la cosa estromettendo questioni scientifiche, mediche e  facendo ipotesi esemplificative agli occhi dei più: il denaro. Ma ci arriviamo tra poco.

Il COVID-19 è una malattia meschina, in quanto colpisce chiunque ed è letale potenzialmente per chiunque. Non ha progressione e decorso lineari per tutti, tanto quanto i sintomi che sono a volte molto diversi da persona a persona. Senza contare gli asintomatici, vera e propria categoria a sé. Si trasmette per via aerea, basta trovarsi a meno di un metro da un contagiato che parla al telefono per potersi infettare. Non è semplice da diagnosticare per tempo senza strumenti specifici (tampone molecolare o controllo degli anticorpi) e di conseguenza molti finiscono in ospedale quando la situazione è già molto grave.

I casi gravi di COVID-19 sono invisibili.

Persone intubate e chiuse in aree adibite al contenimento dell’infezione. Veri e propri reparti stagni. Senza l’affetto e la vicinanza dei propri cari, costretti a morire, se gli va bene, in compagnia del personale medico. Ma si muore soli. Una malattia che una parte poco attenta dell’opinione pubblica fa fatica ad accettare perché, a differenza della peste o dell’ebola, non ha manifestazioni fisiche eclatanti. Se il COVID-19 comportasse, che ne so, perdita copiosa di sangue dagli occhi e dalle orecchie o dolorosissimi bubboni sulla pelle, ci sarebbero file interminabili di cittadini intenti a bussare con forza sulle porte degli ospedali, preoccupati ed esasperati dalla paura di aggravarsi. A questo ci pensano in pochi. Eppure i danni dell’infezione interstiziale ai polmoni non sono da meno, anzi.

Ed ecco il fattore “denaro”. Ogni malato ha un costo per il sistema sanitario nazionale. Per ognuno di essi sono previsti X medici, Y infermieri e Z personale indotto, strutture e attrezzature specifiche. Per i malati di COVID-19 il numero di questi fattori aumenta, con l’impossibilità di espanderlo oltre la capacità finanziaria e logistica che l’Italia è in grado di sostenere. Calcolando che il COVID-19 è di interesse e diffusione mondiale, si comprende la gravità del momento. Qui si crea il cortocircuito che ha messo KO le strutture ospedaliere: non ci sono medici, risorse e spazi per poter garantire a tutti cure adeguate.

È triste, lo so, non siamo in grado di assistere i malati oltre una certa soglia. Né dal punto di vista sanitario, né dal punto di vista meramente economico. In America la popolazione dovrebbe percepire meglio questo ostacolo, dato che lì la sanità è per lo più privata, però l’arroganza a stelle e strisce sembra essere impermeabile al buon senso.

La discriminante è quindi, di fatto,rappresentata dalla reale possibilità economica di assistenza. Tutte le norme attuate contro il COVID-19, vaccini compresi, sono dei meccanismi che servono in primis a garantire una valida opposizione alla diffusione della malattia, ma soprattutto a tenere i costi in un range considerato sostenibile. Negli ultimi mesi alcuni esponenti medici hanno sottolineato quanto un paziente in terapia intensiva sia particolarmente “costoso” per la comunità. Si parla di poche migliaia di euro al giorno. Al giorno!Ogni giorno, tra costi attivi e passivi, quel malato costa a noi tutti più o meno duemila euro. Tenendo in considerazione che la degenza media si assesta tra le due o tre settimane, fino anche a due mesi, è facile fare i conti. Moltiplicate per il totale di malati in terapia intensiva et voilà, il default è servito. A fronte di un ciclo vaccinale che costa circa cento euro, tra materie prime, manodopera e consulenza professionale (cioè il medico nell’HUB che fa l’iniezione). È tanto difficile?

Pensiamo di vivere in un mondo fatato dove la persona è messa al centro dell’universo. Così non è.

Nella sfortuna della pandemia il rovescio della medaglia ha fatto sì che praticamente ogni ricercatore scientifico si concentrasse nello studio di vaccini contro il COVID. Romanzato viene così: tutti gli scienziati del mondo che lavorano incessantemente su un solo problema, potendo avvalersi di fondi stratosferici incanalati nella ricerca da ogni organizzazione, governativa e non. Ed è anche giusto che qualcuno ci guadagni. Se smanettando con gli integratori alimentari, in casa, aveste trovato la cura contro il covid, non l’avreste commercializzata voi stessi? Di Albert Sabin ne nasce uno ogni mille anni, non sentiamoci veniali, né immotivatamente magnanimi (perché, fidatevi, non lo siamo).

Siamo quindi all’alba della terza dose di vaccino. Si pensa già ad una quarta. Il problema è l’inefficacia a lungo termine di questi contro la malattia oltre alla quasi totale assenza di terapie di contrasto (al momento in cui scrivo sono in fase di studio alcuni rimedi). D’altronde il COVID-19 ha una matrice influenzale, a differenza del Morbillo (solo per fare un esempio), ed è soggetta a miliardi di cicli vitali in tempi davvero irrisori. Così nascondo le varianti, con l’evoluzione generazionale del virus che prospera negli organismi che non lo combattono, cioè i non vaccinati. Incrociando le dita che non nascano varianti in grado di rendere nulli i vaccini, o peggio ancora che comportino una maggiore mortalità, dovremo fare di necessità virtù. Il vaccino anti covid come quello anti influenzale, annuale, ricorrente, introiettato nella coscienza comune come necessario. Proprio perché il COVID-19 non è il Morbillo.

Non si può prestare il fianco a questa malattia. Un dovere per noi, per i nostri cari e per la comunità. Ma soprattutto perché, mettiamocelo in testa, è una questione economica che non possiamo in alcun modo permetterci.

Mi chiamo Mario Aiello e sono un giornalista pubblicista. "Musicante" e "scribacchino" per passione, perennemente soggiogato dal richamo dell'arte in senso lato. Da diversi anni scrivo articoli di approfondimento nel campo degli spettacoli, della musica e della cultura più in generale. L'altra faccia della medaglia è invece dedita all'analisi politica, oltre che alla cronaca di attualità e costume. Insomma, un pastrocchio.