Si è fatta dell’ ironia ( fuori luogo ), si sono suonate le trombe del moralismo, la cosa è stata sottovalutata da taluni e presa più seriamente da altri. Ma in fondo, noi vogliamo soltanto provare a parlarne con più leggerezza. Alla fine, scriverne è un po’ anche esorcizzare – sperando di contagiare anche solo una persona con un po’ di ottimismo e magari qualche flebile sorriso.
Quando l’uragano sarà passato e potremo ritornare alla nostra vita , ci riprenderemo tutte quelle piccole e insignificanti cose che fanno parte delle nostre giornate, ricorderemo questo periodo un po’ come ricordiamo l’11 settembre o i terremoti che hanno funestato il nostro Paese. Ci sarà un prima e un dopo COVID 19 e come per le precedenti esperienze è molto probabile che nulla sarà come in passato.
Intanto speriamo di mantenere questo senso di comunità che ha caratterizzato le ultime settimane di marzo. Quando si vivono queste esperienze, più forte diventa la necessità di far parte di un qualcosa di più grande di noi. Siamo animali socievoli, inclini a far parte di una comunità, spesso sentiamo il bisogno di essere un NOI, per vivere insieme le difficoltà e le asperità e poi, alla fine, poter dire di avercela fatta.
Orbene, di sicuro nella nostra mente resteranno impresse tante diapositive: l’inizio della quarantena, le città vuote, lo sgomento di chi aveva sottovalutato tutto, il Papa in Piazza San Pietro, i “ teneri” appelli del Presidente, gli eroi di questa pandemia, e poi i morti, i tantissimi morti ai quali va il nostro pensiero, e ancora, i vertici virtuali derubricati alla voce “ too little, too late “ ( troppo poco, troppo tardi) , il fallimento della pattuglia dei “rigoristi” europei…troppa roba per dimenticare.
E poi gli aspetti grotteschi: il delirio delle autocertificazioni, le conferenze con ritardo, i millemila video esilaranti , il cyber attack al sito dell’INPS ( la cifra esatta del fallimento dell’opera di digitalizzazione nel nostro Paese) e le parole dei sacerdoti della retorica spicciola.
Personalmente in questo difficile periodo sono riuscito a tenere discretamente botta. Una quarantena tutto sommato tranquilla con le paturnie classiche di una situazione comunque gravosa – e la leggera esigenza di sdraiarmi su un lettino e ingrossare il conto corrente di qualche strizzacervelli.
Per sdrammatizzare, senza voler mancare di rispetto a nessuno direi che, la cosa peggiore di questo momento di quarantena sono i miei capelli e le mie basette. Quindi sono assolutamente un privilegiato.
Intorno a me e anche e soprattutto sui social vedo quelli che si sentono prudere le mani perché vorrebbero arrestare Conte, fucilare la Merkel, candidare De Luca alla conduzione del Festival della canzone, lapidare quelli che escono senza motivo, impalare, come faceva Vlad, tutti quelli che la pensano diversamente.
Per quanto mi riguarda, io vorrei solo prendere una macchina aprire i finestrini e correre al mare – e farla finita definitivamente con tutta questa storia.
In questo momento tante telefonate, ci scriviamo in improbabili gruppi wapp, , ci videochiamiamo, singolarmente o in gruppi di famiglia, o di amici, in quello dei miei colleghi di lavoro dall’ evidente nome profetico “ We’ll come back” parliamo tutti insieme e nessuno capisce un cazzo di quello che ha detto l’altro, ma ci regaliamo ogni giorno musica e sorrisi e credo non sia poco.
Però, oltre ogni cosa resta lo sgomento ed allora tornerei ad essere serio. Un tributo altissimo ha pagato il Paese per il Covid 19. Ci sono eventi nella storia dell’umanità che sono come lame che tagliano in profondità, giorno dopo giorno. Provocano tanto dolore e tante insanabili ferite, ma da quelle ferite entrano anche gli insegnamenti e le nuove consapevolezze, ed è anche per questo che vai avanti, deciso, risoluto come non mai.
Ci siamo chiesti, alla fine, in maniera compiuta, quali sono realmente le cose piccole e grandi, importanti e futili, belle da togliere il fiato che ci interessano realmente?
Programmi ambiziosi, piattaforme per il futuro, scuole di pensiero, scenari, quindi non ve ne proponiamo ( lo avevamo detto all’inizio e lasciamo che gli altri tentino di rovinarvi la vita) . L’unico obiettivo che vorremmo raggiungere è forse un po’, come si dice, di basso profilo, tornare alle cose semplici di quelle che si ricordano con nostalgia.
E allora, che ne faremo domani di tutto questo incubo che ci è capitato tra capo e collo?
Di quello che dirà chi c’era a guardarci, degli oggetti che sopravviveranno nei nostri pensieri e non solo ( le mascherine , i guanti, gli ettolitri di detergente) alla fine delle fasi della nostra vita e alle persone che erano con noi, che cosa ce ne facciamo dell’idea di noi stessi che emergerà dal racconto del passato?
Useremo i pezzi di noi che sopravvivono alle tempeste come radici, come ancore , come coperte per scaldarci.
Ascolteremo gli altri raccontarci senza interrompere, affascinati.
Il segreto è forse non voltarsi del tutto, ma guardare indietro in modo sbilenco, da sopra la spalla, cogliere un particolare, un dettaglio, un momento, un frammento.
Lasciar andare questo triste inverno e dirsi che, forse in fondo, potrebbe arrivare presto la primavera, quella vera.