Quattro grandi artisti prematuramente scomparsi: Jimi Hendrix

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di Mario Aiello

In questa piccola rubrica ripercorreremo gran parte dello spettro temporale musicale moderno. Lo faremo ponendo l’accento su quattro personalità per altrettanti momenti storici. Quattro musicisti passati dalla fama alla gloria, uniti da un infausto destino che li ha sottratti alla vita prima di aver spento le candeline dei trent’anni. Li accomuna inoltre l’immancabile dipendenza corrosiva da sostanze stupefacenti – tipica del tratto romanzato dell’accoppiata genio e sregolatezza – ma soprattutto la consacrazione a Rockstar senza tempo, riconosciutagli in modo plebiscitario per evidenti meriti artistici. Alcuni hanno scritto diverse pagine di storia della musica da veri e propri protagonisti, tra innovazione e rivoluzione. Il momento è definito a partire dalla seconda metà degli anni sessanta, fino a raggiungere i giorni nostri. Un bel viaggio insomma.

La nascita della canzone Rock moderna. Ignorando l’identità della madre, soffermiamoci su quella del padre: Jimi Hendrix.

Il primo appuntamento è dedicato al padre fondatore e più alto esponente della musica rock contemporanea: Jimi Hendrix.

Citarlo non è solo un atto dovuto ma, come vedremo senza impelagarci in astrusi carpiati tecnici e storici, rappresenta un vero e proprio “zero aritmetico” dal quale si dirameranno negli anni a seguire una fila enorme di correnti e interpretazioni del “modo Hendrix”. Se oggi intendiamo la canzone rock nella maniera in cui l’abbiamo sempre contraddistinta è merito di questo signore, prematuramente scomparso sulla strada del successo e della dipendenza da droghe. Grazie a lui l’intervento chitarristico dirompente e in controcanto alla voce prende via via più spazio nei brani, mentre l’assolo si trasforma in prosopopea di note, abbandonando il ruolo di metodico riempitivo o vetrina di tecnicismi.

Dal canone Blues alla rivoluzionaria “Experience” di Jimi Hendrix.

Jimi, nome d’arte per Johnny Allen, Hendrix nasce il 27 Novembre 1942 a Seattle. Nulla accade per caso. Il capoluogo della contea di King nello stato Washington avrà un ruolo fondamentale nel prossimo appuntamento. Jimi si forma musicalmente avviandosi al canone Blues, influenzato da una bella dose di Rhythm & Blues e, in ultimo ma non per ultima, la nascente onda Hard Rock che nella decade 60-70 troverà dei veri e propri pionieri di genere. Nel Regno Unito quanto negli States.

Jimi Hendrix è un caso più unico che raro, sia per inventiva che per tecnica e immagine. Innanzitutto l’icona figurativa di impugnare la chitarra, una Fender Stratocaster di colore giallo pallido. Lui era mancino quindi suonava lo strumento capovolto, essendo questi di costruzione standard. Assieme all’uso di una fascia sulla fronte, le camicie sfrangiate ed i pantaloni a zampa di elefante, è probabilmente il tratto visivo più conosciuto dell’artista.

La produzione si ferma a soli tre album (più uno live), nonostante la grande vena compositiva del chitarrista. Le performance di Jimi Hendrix sono indissolubilmente legate ai membri della band messa in piedi per magnificare le doti soliste del suo cavallo di punta. Parliamo di Noel Redding al basso (ma chitarrista) e Mitch Mitchell alla batteria. La formula del power-trio, innovativa per l’epoca e largamente sfruttata dai più grandi virtuosi, non solo armonizzava le cosiddette “super band” ma riuscì a dare una dimensione naturale al talento di Hendrix, amplificandone le qualità. Ma non furono certo rose e fiori. Celebri i battibecchi con Redding e le incomprensioni con Mitchell. Insomma un giocattolo destinato a durare poco, ma estremamente necessario al fine di consegnare il frutto delle loro fatiche al mito, o alla leggenda: nasceva così The Jimi Hendrix Experience. Ironia della sorte, sciolta la band, il suo primo violino si spense entro l’anno successivo.

Tre album in studio, un’infinità di fan nel mondo. Oggi più di ieri: Are You Experienced, Axis ed Electric Ladyland.

L’elenco è semplice. Anno 1967, prima Are You Experienced e subito dopo Axis: Bold As Love. Una doppietta devastante se letta col senno del poi. Di livello extraterrestre per il tempo che fu. In pochi mesi l’umanità ha potuto godere di due LP che faranno la storia del Rock moderno, contenitori di grandissimi successi per critica e pubblico, oltre che primordiali landscapes della verve interpretativa di Jimi Hendrix.

Nel primo troviamo Hey Joe di Billy Roberts, nella sua versione ormai più diffusa e nota, oltre all’inno hendrixiano per antonomasia, Purple Haze. Inoltre, Foxy Lady, Fire, tutte canzoni che chiunque conosce anche se crede di non averle mai sentite. Lo stupore sopraggiungerà quando proverete a cercarle. Qualora non ne aveste esperienza.

Nel secondo invece c’è già la consacrazione, stilistica e contenutistica. Sale in cattedra LittleWing, in assoluto la canzone di Jimi Hendrix più suonata, copiata, riprodotta, rivisitata e chi più ne ha più ne metta, nella storia dello scibile. Da ragazzo mi sono chiesto il perché di tanto clamore. Poi sono cresciuto, ho affinato l’orecchio, quindi tutto mi è parso limpido e cristallino. Little Wing è per la musica quello che potrebbe essere per la letteratura un canto della Divina Commedia di Dante. Sulla scelta mi troverei in grande difficoltà. Baluardo della composizione contemporanea, massima vetta del ventriloquismo, al punto di lasciare allo spettatore il dubbio che la chitarra fosse animata da propria volontà, parlante, con sua voce, sua personalità, sua emozione. Pelle d’oca. Sono trascorsi più di cinquanta anni e continua ad ispirare musicisti di ogni cultura ed etnia.

Verso la fine del 1968 vede la luce Electric Ladyland. Il successo della band a questo punto non è quantificabile. Un’ascesa così repentina che in una manciata di mesi è praticamente deflagrata nelle mani dei suoi attori principali. Uno su tutti Jimi Hendrix che durate la produzione del disco comincerà a manifestare apertamente le difficoltà derivanti dall’uso di stupefacenti. Nel frattempo però le sue canzoni avevano raggiunto un nuovo apice. Tra le perle di Electric Ladyland spiccano la cover All Along The Watchover di Bob Dylan, Gyspsy Eyes nonostante il richiamo ad altri brani celebri e Voodoo Child tutt’ora suonata ovunque in jam session nei locali che promuovono musica dal vivo.

Non per negligenza ma il successivo album live, Band Of Gypsys, stravolto nella formazione, pare aprire un nuovo capitolo della produzione. Una storia che però Jimi Hendrix non ha potuto esplorare a fondo a causa della prematura morte. In virtù di questo, la critica all’LP trova una difficile collocazione, molto soggetta all’empatia personale di chi ascolta. Come una scultura appena abbozzata, Band Of Gypsys, non essendo un’opera in studio, non trova compimento. Un cerchio che non si chiude, suffragando le ipotesi dei “se” e dei “ma” non si va da nessuna parte. Figuriamoci riuscire a decifrare pienamente l’opera di un artista complesso e geniale del calibro di Hendrix.

Morte e lascito di una delle personalità più influenti della musica contemporanea.

Jimi Hendrix viene trovato morto al mattino del 18 Settembre 1970, in una stanza d’albergo in quel di Londra. Sulle cause persistono ancora dei dubbi: sappiamo essere affogato nel suo stesso vomito, causato probabilmente da un mix di farmaci ed alcol, ma restano ignote l’ora dell’effettivo decesso, se durante la notte precedente o mentre veniva soccorso il giorno seguente, e dinamiche dell’accaduto. Avrebbe compiuto ventotto anni poco più di due mesi dopo.

Lascia alla cultura musicale opere immortali, soprattutto dal punto di vista squisitamente sonoro, non disprezzando i temi di libertà, sessualità, critica antirazziale e di assoluta fantasia visionaria che permeano i suoi testi. Il dono immateriale è di tipo stilistico, oggi chiunque e per qualsiasi genere, tende a dare alle chitarre il ruolo di contrappunto vocale alternato alle liriche, innalzando la sei corde a regina di ogni composizione Rock e non solo. Il suo approccio ha ispirato guitar hero di ogni generazione, non essendo egli stesso il miglior virtuoso del suo tempo, ha comunque creato un genere, una filosofia, resi immortali dall’enormità del valore artistico che ha impresso nelle composizioni. Semplicemente Jimi Hendrix.

E il Woodstock 1969? Ah, il Woodstock ‘69… il National Anthem… è storia.

 

Mi chiamo Mario Aiello e sono un giornalista pubblicista. "Musicante" e "scribacchino" per passione, perennemente soggiogato dal richamo dell'arte in senso lato. Da diversi anni scrivo articoli di approfondimento nel campo degli spettacoli, della musica e della cultura più in generale. L'altra faccia della medaglia è invece dedita all'analisi politica, oltre che alla cronaca di attualità e costume. Insomma, un pastrocchio.