Quel che resta del Primo Maggio: una festa oltre i concerti e le ideologie

Condividi su

di Alessandro D’Orazio

È appena trascorso il Primo Maggio, la festa dei lavoratori, ma il lavoro continua a rimanere uno sfondo sfocato nella realtà socio-economica del nostro Paese. Non bisogna essere disfattisti. È necessario, però, non distogliere lo sguardo davanti a criticità che, per poter essere superate, devono essere analizzate in maniera lucida. Da tempo immemore il 1 maggio viene ricordato più per questioni collaterali (soprattutto musicali), che per il suo vero senso. Trovarsi di fronte a una questione del lavoro ideologizzata non è mai piacevole. Il lavoro è un diritto di tutti!

 

Questa festa induce ogni anno a fare delle riflessioni. Il primo articolo della Costituzione rappresenta il fondamento su cui poggia l’architettura dei principi della nostra democrazia e della nostra civiltà. Al tempo stesso è un pungolo, un senso di marcia, una sfida costante alle istituzioni, ai corpi sociali, alle forze produttive. Il lavoro è misura di libertà, di dignità, rappresenta il contributo alla comunità. Il lavoro è strumento di realizzazione di diritti sociali. È motore di ripartenza. Insomma, il lavoro non è un’ideologia!

 

Sorprende amaramente che tra le prime 5 regioni europee con occupazione più bassa, secondo Eurostat, ben 4 siano italiane (Campania, Puglia, Calabria e Sicilia). Un peccato se si pensa al grande potenziale economico che queste terre sarebbero in grado di sprigionare. Allo stesso modo andrebbe senz’altro rivalutato il ruolo dello Stato, che dovrebbe giungere alla tanto agognata trasformazione da Stato assistenzialista a Stato garante di regole e condizioni di mercato certe e civili. Tutto questo per ovviare a radicate responsabilità storiche, pressione e cuneo fiscale persistenti, precariato dilagante e chi più ne ha più ne metta.

È necessario, inoltre, che le politiche passive cedano il passo a politiche attive in grado di stimolare la domanda di lavoro, con imprese capaci di offrire condizioni che superino la convenienza della percezione di redditi e sussidi alternativi. Le potenzialità di cui l’Italia è pregna sono tante. Alla base di tutto, però, bisogna affrontare con serietà la questione del lavoro e far sì che la stessa non rimanga una mera ideologia di partito.

Classe 1992. Una laurea in Giurisprudenza ed una in Operatore giuridico d’impresa. Nel mezzo l’azione: paracadutista, sommozzatore e pilota d’aerei. Classicista convinto, quanto Cattolico. Appassionato di viaggi, lettura e scrittura. Un’esistenza volta alla costante ricerca delle tre idee che reggono il mondo: il Bene, la Giustizia e la Bellezza. Senza mai perdere di vista la base di ogni cosa: l’Umanità. Se fosse nato sostantivo, sarebbe stato il greco aretè e cioè, la disposizione d’animo di una persona nell’assolvere bene il proprio compito. La frase che lo descrive: “Darsi una forma, creare in se stessi un ordine e una dirittura”. Il tutto allietato da un bel dipinto di Giovanni da Fiesole.