Reddito di cittadinanza e dintorni…

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di Maria Rusolo

grandi spiriti hanno sempre trovato la violenta opposizione dei mediocri, i quali non sanno capire l’uomo che non accetta i pregiudizi ereditati, ma con onestà e coraggio usa la propria intelligenza.”

Oggi ho scomodato Einstein, il padre della relatività per parlare, con qualche piccola e breve considerazione del famigerato Reddito di cittadinanza, con la consapevolezza che ne scrivo con ancora pochi dati alla mano, ma con l’esperienza decennale di chi si relaziona quotidianamente con lavoratori, persone in difficoltà, precariato e centri per l’impiego.

Un dato assoluto è quello che il nostro Paese ha visto negli ultimi anni crescere notevolmente le sacche di emarginazione legate al reddito, ha visto aumentare i disperati, gli inoccupati e quelli che un lavoro non lo cercano più, ed ha cancellato completamente le politiche sociali. Certo, anche a causa di una profonda crisi economica le risorse da distribuire si sono notevolmente ridotte, ma va anche sottolineato che molto spesso le stesse risorse sono state utilizzate male e poco. Il dato assoluto è che ci sono quasi

Cinque milioni di poveri in Italia, e che in molti casi questi poveri sono degli invisibili, figli di una industria che non ha saputo ripensarsi e di un liberismo cieco e sordo a qualsiasi forma di adeguamento e cambiamento. Non si tratta più della eterna querelle tra lavoro e capitale, anzi qui di lavoro non si parla proprio più, non si discute di come costruire le basi ed i presupposti per la crescita sana di una comunità, non si parla più di come sostenere le persone perchè possano realizzare compiutamente se’ stesse e le proprie attitudini, al contrario ci si sostituisce ad esse, si annullano le loro capacità con un presunto sostegno al reddito.

Guardate si badi bene io sono per un sistema sociale, il vecchio caro Welfare, che consenta a chi è in difficoltà di godere di tutto il sostegno possibile, in termini di servizi pubblici e sociali, ma ritengo che non lo si possa fare con una mancia elettorale, pensata e costruita male come il reddito di cittadinanza. Pensateci bene, le domande sino ad oggi sono state circa 40.000, non c’è stato insomma nessun vero e proprio assalto alla diligenza. La domanda con ogni probabilità è stata presentata da parte di chi godeva in qualche misura del vecchio Rei, e da parte di chi secondo i vecchi sistemi riesce ad avere indicatori di reddito piuttosto bassi, ma senza essere realmente povero.

Gli italiani sono da sempre maestri in questo: case popolari, invalidità farlocche, sostegni sociali erogati dai comuni; sanno in un modo o nell’altro aggirare l’ostacolo. A rendere tutto più semplice si aggiunge la quantità smisurata di lavoro irregolare esistente soprattutto nel Mezzogiorno d’Italia. Insomma se si fosse realmente voluto sostenere i poveri, gli ultimi, i paria, si sarebbe potuto con molta facilità intervenire sull’ammontare delle pensioni erogate ai veri invalidi, sui livelli di assistenza medica, sul costo dei servizi ospedalieri, e sulla qualità dell’istruzione e sul maggiore trasferimento agli enti locali di risorse da distribuire sul Territorio.

E’ solo un modo, politico, diverso di intendere il sostegno al reddito. E’ solo un modo più efficace di mettere tutti nelle condizioni di vivere una esistenza libera e dignitosa, sperando di trovare un lavoro confacente alle proprie competenze. E mentre si strombazza ovunque, in lungo ed in largo la validità di questo tipo di intervento, si selezionano precari, che andranno ad infoltire la già nutrita schiera di lavoratori a tempo determinato adoperati nei Centri per l’impiego, secondo logiche che nulla hanno di trasparente e corretto.

Mi riferisco ai Navigator che dovranno adoperarsi per trovare un lavoro ai beneficiati dal Reddito di Cittadinanza. C’è insomma, qualcosa di distorto in un Paese che ha i salari tra i più bassi d’Europa, un patrimonio immobiliare che cade a pezzi, che gioca a scacchi sulle infrastrutture, che consente alle imprese di chiudere, aumentando il numero di Cassi integrati o di lavoratori in mobilità e che pensa di aver estratto il coniglio dal cilindro. Una cecità assurda ed anche un pò banalotta, che ha perso anche molto del suo appeal iniziale.

E nessuno invece sembra voler vedere che oggi le persone veramente in difficoltà, sono borderline, spesso costretti ad avere una partita iva; sono quelli che tutte le mattine aprono le proprie piccole attività , perchè non hanno molta scelta, ma che non ce la fanno, vittime di un Stato Leviatano che le strozza e che non rende la vita più semplice ed agevole. Ecco io continuo a pensare che questa non sia la risposta, e non dipende dal mio censo o dalla mia posizione privilegiata, di quarantenne che combatte con una Giustizia lenta, ingolfata, impreparata e quasi mai equa, ma dall’attenzione con cui guardo le cose, dalla preoccupazione di chi dalla propria finestra vede attività chiudere, e giovani partire in cerca di una speranza e di maggiore riconoscimento e rispetto. Per cui i prossimi mesi ci diranno con maggiore precisione il risultato di questo esperimento sociale ed economico, partendo dall’assunto che gli Italiani non meritano di essere dei topolini in gabbia a cui iniettare un veleno lento ed inesorabile che progressivamente li conduca alla morte sociale e civile.

“La qualità è l’ossigeno che ci manca, e se l’Italia è in asfissia è perché da troppi anni respiriamo mediocrità.” 

Nasco in un piccolo paese della provincia di Avellino, con il sogno di girare il mondo e di fare la giornalista, sullo stile della Fallaci. Completamente immersa, sin dalla più tenera età nei libri e nella musica, ma mai musona o distante dagli altri. Sempre con una battaglia da combattere, sempre con l’insolenza nella risposta verso gli adulti o verso chi in qualche modo pensasse che le regole non potessero essere afferrate tra le dita e cambiate. Ho sempre avuto la Provincia nel cuore, ma l’ho sempre vissuta come un limite, una sorta di casa delle bambole troppo stretta, per chi non voleva conformarsi a quello che gli altri avevano già deciso io fossi o facessi. Decido di frequentare Giurisprudenza, con il sogno della Magistratura, invaghita del mito di Mani Pulite, ma la nostra terra è troppo complicata, per non imparare presto ad essere flessibile anche con i sogni e le speranze, per cui divento avvocato con una specializzazione in diritto del lavoro prima e diritto di famiglia poi, ma anomala anche nella professione e mal amalgamata alla casta degli avvocati della mia città. La politica e la cultura , i cuori pulsanti della mia esistenza, perché in un mondo che gira al contrario non posso rinunciare a dire la mia e a piantare semi di bellezza. Scrivo per diletto e per bisogno, con la speranza che prima o poi quei semi possano diventare alberi.