Sarà stato difficile essere Luca De Filippo.

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di Elio Goka

Una volta, e non è stata l’unica, qualcuno ha rappresentato la storia di un giovane napoletano entrato e uscito dalla galera per aver rubato. Un ladro gentiluomo, figlio della miseria e della prudenza di una Napoli che nella sua intimità letteraria ha sempre portato alla ribalta i suoi furfanti con un filo di voce, quasi silenziosi, prudenti, per non finire reclusi pure nella facilità di giudizio che sparge di tribunali ogni luogo dell’opinione pubblica.

Questo giovane ladruncolo si chiama Vincenzo De Pretore, finito sopra un letto di ospedale per essere stato sparato in seguito a un tentativo di furto, morto dopo aver parlato col Signore nella speranza di farsi accogliere in Paradiso. Vincenzo De Pretore, coperto da un lenzuolo bianco, è il destinatario delle ultime parole a lui dedicate di Ninuccia, la ragazza tanto amata in vita, disposta pure a non rivelare la sua identità, pur di non turbare la purezza dell’ignoto che avvolge gli ultimi istanti di presenza di Vincenzo. “Brucia questo amore che non sa la verità”, recita una canzone di Roberto De Simone.

Luca De Filippo ha prestato se stesso alla figura di Vincenzo De Pretore. Forse, oggi, nessuno può dimenticare l’interpretazione di Luca De Filippo di uno dei personaggi più sensibili e vulnerabili della drammaturgia di Eduardo, ammettendo che il volto, la voce, la sagoma di Vincenzo De Pretore, col capo chino davanti a dio, sono e resteranno sempre quelli di Luca De Filippo. Così potrebbe valere per Tommasino, figlio irrequieto, e maturato d’improvviso, di Luca Cupiello. E ancora, tenendo a mente Carlo Saporito, alter ego ambiguo e malfidato di Alberto (Eduardo), ne Le voci di dentro. E ancora, l’orgoglioso e tormentato Rafiluccio Santaniello, giovane immiserito dal cinismo paterno, figura emblematica de Il Sindaco del rione Sanità, nella quale, con angosciata verifica, si specchia il saggio guappo Antonio Barracano (Eduardo). E si potrebbe proseguire, in una rassegna di personaggi che ancora oggi abitano un affresco di discrezioni, di voci basse, di presenze appena percepibili, mute e sincere, comiche e grottesche, amare e dolcissime, come le interpretazioni di Luca De Filippo nei tanti personaggi che lo hanno restituito collaudato, al pubblico in attesa della prosecuzione di quel prodigio dinastico che è andato sotto il nome dei De Filippo.

Luca non è stato come suo padre o come i suoi zii, ma l’indisponibilità di una maschera irripetibile non ha fatto irruzione nella sua personalità di attore provocando in lui riverberi o rimbombi, se non per rinvigorire il suo desiderio di apprendimento. Molti artisti, anche dotati, smarriscono se stessi al cospetto di ombre ingombranti di origine familiare. Luca no. Luca De Filippo si è allevato, quasi da solo, in una vita che lo ha privato presto di alcuni dei suoi affetti più cari, spingendo anch’egli verso quella direzione salvifica che, in parte come è stato per il padre, ha aperto il sipario per consegnarlo alle sorti del palcoscenico. Luca De Filippo ha obbedito, ha accolto, ha difeso, ha contemplato, e, come solo lui avrebbe potuto fare, ha rielaborato l’ingombro familiare in un io composto, lontano da ogni forma di insofferenza, in una vita di teatro che nessuno gli aveva promesso, visto che Eduardo gli aveva insegnato da subito che al teatro ci si promette, talvolta con pegni anche dolorosi.

Se nella versione televisiva del 1975 di ‘O tuono ‘e marzo, Luca De Filippo, anche al cospetto di attori come Paolo Stoppa, in giovane età aveva notevolmente sorpreso il pubblico per la sua interpretazione di Felice Sciosciammocca, il seguito della sua carriera non sarebbe stato da meno. E il distacco dalla figura paterna, perduta in età ancora giovane, dal punto di vista teatrale giovane di sicuro, non era stato vissuto con la reazione di muoversi liberamente, col rischio di esercitare un’eredità che tale non sarebbe stata, ma con l’acuirsi del senso di responsabilità che il teatro insegnatogli dal padre gli aveva lasciato. Luca ha saputo tutelare il patrimonio teatrale di Eduardo, e, allo stesso tempo, non ha differito dalle regole di un’intimità e di una spiritualità tipiche della tradizione della sua famiglia.

Luca De Filippo, al di là del suo grande valore di attore, ha saputo tener vive le istanze del padre, anche in quelle più politiche, come l’insegnamento del teatro ai giovani disagiati, ma sempre restando Luca De Filippo, De Pretore Vincenzo, Carlo Saporito, Rafiluccio Santaniello, Felice Sciosciammocca, Tommasino Cupiello,  Furio La Spina e tanti altri. Se restiamo per un attimo solo sul teatro di Eduardo, Luca De Filippo ha dovuto imparare molto presto a orientarsi in uno spazio sconfinato. Pochi hanno saputo farlo veramente. Chissà se a volte si sarà domandato se ci stesse riuscendo. In De Pretore Vincenzo Luca interpreta il protagonista chiamato al gran colloquio. Non si guardi al dubbio se questo sia un privilegio, ma alla difficoltà per chi deve sostenerlo.

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