I giovani ci guardano

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di Maria Rusolo

“Non vedremo sbocciare dei santi finché non ci saremo costruiti dei giovani che vibrino di dolore e di fede pensando all’ingiustizia sociale.”

Che l’Italia non fosse un Paese per giovani lo sappiamo da tempo, ma la Pandemia ha fatto emergere ancora con più forza quanto ipocrita sia nei confronti dei suoi figli. Chi ha la benevolenza e la pazienza di leggere i miei sproloqui sa che sono contraria alla Didattica a distanza e sa che ho sempre sostenuto che la scuola, l’istruzione, la cultura sia l’unico strumento valido per garantire la piena realizzazione di se stessi, sin dalla più tenera età.

L’istruzione per tutti è l’unico mezzo per la esaltazione delle attitudini, per la realizzazione dei sogni e delle speranze ed il passaggio verso una mobilità sociale, che cancella ogni differenza di censo. Non la scolarizzazione, intesa come mero apprendimento di nozioni, ma l’impegno a formare nelle giovani generazioni un pensiero anche rivoluzionario votato al cambiamento pacifico della società che ci circonda.

Oggi ho deciso di parlare di quanto accade ai ragazzi spinta da due fattori, il primo la lettura di un libro bellissimo di Scurati che si intitola Sopravvissuto e la dichiarazione del nuovo segretario, eletto a furor di popolo, manco fossimo nella Russia di Stalin, del Partito Democratico. Quest’ultimo nella relazione tenuta dinanzi alla Assemblea del Pd, non ha trovato altro argomento valido che parlare del voto dei sedicenni, ritenendola una questione impellente, un cambio di rotta di un Paese che non parla ai giovani e che li esclude dalle scelte di rappresentanza.

Ho trovato il richiamo vergognoso, dopo un anno di assoluto abbandono dei nostri figli, che esclusi da ogni forma seria di apprendimento, si barcamenano tra lezioni noiose dinanzi ad uno schermo ed esami senza minimo contatto umano, Letta pensa che sia questo quello di cui hanno bisogno. Conosce poco evidentemente le generazioni di cui parla.

Non sa che la percentuale più alta di astenuti è proprio quella dei ragazzi ricompresi tra i 18 ed i 25 anni, non sa che i ragazzi stazionano all’Università più a lungo possibile, e che hanno perso le speranze di trovare un posto di lavoro compatibile alle competenze acquisite, non sa ad esempio che non riescono ad abilitarsi, e che le professioni intellettuali, a cui tanto si aspirava una volta, ormai sono completamente abbandonate, non sa che lasciano l’Italia per altri Paesi Europei, per scappare alla necessità di una raccomandazione o di una segnalazione, anche per il posto di cassiere in un centro commerciale a 400 euro mensili, e non sa che da tempo hanno eretto un muro con la nostra generazione, che non ci comprendono, che non ci stimano, che non ci ascoltano.

Abbiamo il tasso più alto di disoccupazione giovanile nel Sud del Paese, il più alto tasso di inoccupati, abbiamo ragazzi fragili, abbandonati, a cui abbiamo dato false speranze per poi lasciare a loro il compito di ricostruire una società che non offre opportunità. Vedete, negli anni 60 figli di una generazione cresciuta nella guerra e nella privazione, i ragazzi volevano cambiare il mondo, oggi non hanno più neanche questo desiderio.

Non posseggono e non vogliono possedere nulla, sono annoiati e persi, spesso non si informano e non vogliono approfondire. Sembro pessimista? Mi sarò svegliata con il piede sbagliato o con la sindrome del Pastore errante dell’Asia? No, no, per carità io credo sempre che una piccola scintilla possa determinare un grande incendio, e che ci siano delle eccezioni a tutto questo annichilimento ed alla astenia, e che da qui che bisogna ripartire, ma sono abituata a guardami intorno, a non gettare la polvere sotto il tappeto, e quello che sento mi fa pensare che non abbiamo compreso quanto accade e che non abbiamo voglia di impegnarci seriamente.

Continuiamo ad assumere atteggiamenti di non comprensione ed a scegliere per la nostra sopravvivenza, ad agire consumati dall’oggi, senza proiettarci nel futuro. Dovremmo ricordare quello che sognavamo noi alla loro età, dovremmo far sparire dalle scuole il concetto di risultato come se fossimo in una azienda, dovremmo insegnare loro il valore della empatia e della parola, dovremmo insegnare loro che si devono amare e che hanno tutti gli strumenti per farcela e per darci una lezione, dovremmo insegnare loro che bisogna salire sui banchi e gridare ” O capitano mio capitano”, dovremmo essere esempi di diligenza e di coraggio, strappando anche le pagine dei vecchi ed inutili programmi scolastici, dovremmo insegnare loro il valore della reazione e non la maledetta ” resilienza”, di non accartocciarsi e di reagire agli urti vivendoli come utili per fare un salto.

I ragazzi ci guardano più di quanto pensiamo e quindi ogni segnale non può più essere lasciato al caso, non possiamo permetterci il lusso di balbettare parole prive di senso che non sono altro che rumori incomprensibili, persi nella notte della nostra codardia .

Giovani, se voi volete vivere la vostra vita degnamente, fieramente, nella buona e nella cattiva sorte, fate che la vostra vita sia illuminata dalla luce di una nobile idea.”

Nasco in un piccolo paese della provincia di Avellino, con il sogno di girare il mondo e di fare la giornalista, sullo stile della Fallaci. Completamente immersa, sin dalla più tenera età nei libri e nella musica, ma mai musona o distante dagli altri. Sempre con una battaglia da combattere, sempre con l’insolenza nella risposta verso gli adulti o verso chi in qualche modo pensasse che le regole non potessero essere afferrate tra le dita e cambiate. Ho sempre avuto la Provincia nel cuore, ma l’ho sempre vissuta come un limite, una sorta di casa delle bambole troppo stretta, per chi non voleva conformarsi a quello che gli altri avevano già deciso io fossi o facessi. Decido di frequentare Giurisprudenza, con il sogno della Magistratura, invaghita del mito di Mani Pulite, ma la nostra terra è troppo complicata, per non imparare presto ad essere flessibile anche con i sogni e le speranze, per cui divento avvocato con una specializzazione in diritto del lavoro prima e diritto di famiglia poi, ma anomala anche nella professione e mal amalgamata alla casta degli avvocati della mia città. La politica e la cultura , i cuori pulsanti della mia esistenza, perché in un mondo che gira al contrario non posso rinunciare a dire la mia e a piantare semi di bellezza. Scrivo per diletto e per bisogno, con la speranza che prima o poi quei semi possano diventare alberi.