“Male Nostrum” di Angelo Battagli, quando mare significa morire.

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di Maura Messina

Il dramma dei migranti occupa nuovamente gli spazi di comunicazione, dall’universo social alla televisione. Nonostante i numeri raccontino un fenomeno in aumento e, purtroppo, non sempre dall’esito felice, appare evidente una percezione generalizzata di anestetizzazione dilagante. Si è ormai abituati a leggere di uomini, donne e bambini morti durante i cosiddetti “viaggi della speranza”. Abbiamo incontrato lo scrittore e insegnante  porticese Angelo Battagli, classe 1971, per parlare con lui del suo ultimo romanzo, Male Nostrum edito da Graus Edizioni, che narra di quelli che l’autore definisce “viaggi senza speranza, viaggi della disperazione, nel ventre putrido di fatiscenti “disastronavi” alla deriva”.

Male Nostrum è un romanzo che non offre alibi, ma che punta, senza mezzi termini, a scuotere la coscienza del lettore per porlo dinanzi alle responsabilità che appartengono a tutta la razza umana.

Perché Male Nostrum? 

Era un po’ che volevo raccontare storie di migranti e così iniziai a pensare quale titolo potesse avere il romanzo. A casa avevo un cd di Paolo Fresu, dal titolo Mare Nostrum e così quando me lo ritrovai tra le mani pensai che “Male Nostrum” potesse essere il titolo giusto da dare a queste testimonianze. Poi ho iniziato a raccogliere materiale. E così è nato il mio terzo romanzo.

Cosa ti ha spinto a raccontare dei viaggi della speranza?

Male Nostrum nasce ancor prima di sapere che sarei diventato un racconta storie.

Era il 2017 e feci un incontro illuminante. A quell’epoca, ero tesoriere del movimento politico Dema, che faceva capo a Luigi De Magistris. Ognuno di noi, nel suo piccolo, offriva dei servizi gratuiti alla cittadinanza sul territorio. Io mi proposi come prof per impartire lezioni di matematica, sebbene fossi laureato in Economia. 

Un pomeriggio si presentò Abubakar, un ragazzo del Senegal. Aveva un sorriso radioso che usava come schermo per nascondere una tristezza che gli si leggeva negli occhi. Un giorno gli chiesi qual era la sua storia, come era giunto in Italia. E lui, non senza reticenze, mi raccontò che era arrivato a Lampedusa con un barcone. Non era solo. Con lui viaggiava la sorella più piccola, che sfortunatamente non sapeva nuotare. L’imbarcazione, al largo delle coste italiane, si rovesciò e finirono tutti in mare. La sorella morì annegata.

Mi sentii profondamente in colpa, sebbene non avessi commesso alcun crimine e allora mi ripromisi che, prima o poi, avrei raccontato di questi viaggi della speranza che troppo spesso si trasformano in viaggi della disperazione. E così è stato. Ho mantenuto quella promessa.

Nei vari racconti sottolinei la responsabilità dei Paesi occidentali e smonti totalmente la teoria dell’”aiutiamoli a casa loro”. Puoi spiegare a chi non ha ancora letto il libro perché la suddetta teoria non ha senso?

Partiamo dal presupposto che l’Italia è un Paese a “decrescita demografica infelice”: non si fanno più figli (meno di 400 mila nel 2021, il dato più basso di sempre) e per ogni nuovo nato ci sono ben 4 over 65. Siamo un paese vecchio che, stando così le cose, è destinato a scomparire. 

Basterebbero queste statistiche impietose a convincere i potenti di turno di casa nostra che l’immigrazione può diventare una formidabile risorsa economico-sociale, se ben incanalata e regolamentata. Ma si preferisce urlare slogan senza senso, come “prima gli italiani” o “aiutiamoli a casa loro”. Ma quale casa, se molti di questi disperati una casa nemmeno ce l’hanno più. 

Come sempre, affrontare problemi complicati con ricette semplici, o meglio semplicistiche, non è mai la soluzione giusta.

In molti racconti ho ritrovato alcuni dettagli che mi hanno ricordato eventi di cronaca. È un caso o davvero hai inserito frammenti di storie vere?

I racconti partono da una base reale, formatasi attraverso una lunga e attenta analisi dei fatti di cronaca avvenuti negli ultimi anni. Oltre ad aver raccolto testimonianze dirette di persone che hanno affrontato la traversata della vita e ce l’hanno fatta. Poi ovviamente ci ho messo del mio, modificando nomi, luoghi, situazioni. E così che è nato Male Nostrum.

Molto interessante la struttura del libro: brevi capitoli che spingono a soffermarsi sulle singole storie senza perdere il filo. Puoi spiegare le scelte tecniche che hai operato?

Volevo raccontare storie volutamente brevi, incisive, che si autoconcludevano, ma legate tutte da un sottile filo rosso: la tempesta. Per fare questo ho utilizzato un linguaggio scarno, asciutto, senza fronzoli, affinché il messaggio arrivasse diretto, come uno schiaffo in pieno viso. I miei migranti parlano un italiano tremolante, quasi sgrammaticato, ma terribilmente intellegibile alle orecchie di chi vuol ascoltare.

Male Nostrum è un libro che scava l’anima e pone il lettore di fronte allo specchio della propria coscienza: “Io cosa ho fatto per evitare questa quotidiana strage degli innocenti?” Pongo a te la stessa domanda.

Non è stato facile immergersi nelle storie di questa povera gente. Ma andava fatto. Non ti nascondo che ogni volta che provo a rileggere ciò che ho scritto, mi commuovo.

Male Nostrum vuole essere un faro acceso su una realtà drammatica che troppo spesso viene frettolosamente archiviata dalla nostra insensibilità. Ci si abitua a tutto oramai: alle guerre come alle morti in mare che quotidianamente ci vengono servite all’ora di cena, sulle nostre tavole imbandite di indifferenza. Io ho provato, nel mio piccolo, a scuotere coscienze sopite. Spero sia servito a qualcosa. Purtroppo queste sono problematiche che richiedono interventi squisitamente politici, a livello più alto. A ben vedere, l’unica arma che ancora ci resta, sebbene spuntata, è quella del voto nella cabina elettorale. Per chi ancora ci crede…

Nel periodo storico e politico che viviamo in Italia, come interpreti la dichiarazione dello “Stato di emergenza” relativo ai migranti?

È singolare come il Governo attuale tratti il fenomeno millenario delle migrazioni come un accadimento straordinario e di forza maggiore (un terremoto o un’alluvione) e non come una dinamica endemica che ha sempre accompagnato la vita dell’uomo e sempre l’accompagnerà. È ancor più singolare che ci si preoccupi di come collocare circa diecimila persone, questi sono i numeri attuali, e non della diaspora di centinaia di migliaia di giovani cervelli italiani, formati e poi abbandonati, che ogni anno lasciano l’Italia per trovare un’occupazione e un futuro migliore all’estero. 

Ecco a me piacerebbe un Governo che desse il giusto peso alle cose, invece di cavalcare l’ideologia dell’invasore e della paura, pensando già alle prossime elezioni e non alle future generazioni. Ma forse chiedo troppo…

 

Riportiamo un breve estratto di Male Nostrum, per lasciarvi con la più scomoda delle domande:

“Perciò per noi resta un mistero come quel Dio tanto pietoso volle abbandonarli proprio all’ultimo. Ma a pensarci con più giudizio, chi conosce le cose di Dio sa che lui ci lascia sempre l’arbitrio: ossia la possibilità di prendere parte attiva al suo mirabile disegno di giustizia. Ed è vero che in questa storia manca un tassello: la pietà, il senso morale o la pura e semplice umanità di qualcuno che avrebbe potuto evitarlo quel naufragio. E perciò in questo, come in qualunque caso (senza andare a interpellare Dio), ciascuno di noi dovrà chiedersi: «Io, io che cosa ho fatto?». 

E chi avrà una risposta, sarà salvo.”

link utile:

https://www.grausedizioni.it/prodotto/male-nostrum/

Maura Messina, art-designer napoletana, classe 1985. Da sempre sensibile alle tematiche ambientali, in particolare al dramma della terra dei fuochi. Dal 2014 collabora con varie testate giornalistiche. Autrice del libro illustrato autobiografico “Diario di una kemionauta” e del romanzo distopico “4891 la speranza del viaggio”, editi da Homo Scrivens. Ha partecipato a numerose mostre d’arte come pittrice. Il suo motto è: per cambiare il mondo basta napoletanizzarlo.