Una meravigliosa ” terrona” a Napoli. Serena Brancale, la nostra Erykah Badu

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di Maria Rusolo

Quando una voce femminile è espressione non solo di un grande talento, ma anche di una grande personalità, allora siamo al cospetto di qualcuno che farà strada nel mondo artistico, Serena Brancale, ha molte di queste caratteristiche, ma soprattutto ha una innata e spiccata simpatia che la rendono qualcosa di unico nel suo genere ed in quello che siamo abituati ad ascoltare in Italia.

Ha notevoli doti, immediatamente riconoscibili e che avrebbero potuto spingerla ad assecondare un certo modo di presentarsi sul palco, ma ha la sfacciataggine delle donne della nuova generazione, forti, consapevoli, sia del proprio talento che della propria immagine. Sa quello che vuole essere, sa cosa vuole esprimere, ed è dai tempi del suo Galleggiare cresciuta non abbandonando mai la curiosità di una esploratrice a cui piace la musica, in tutte le sue forme ed in tutte le sue manifestazioni.

La seguo da tempo, ho avuto il piacere di ascoltarla, ha una naturalezza che le proviene dalla sua formazione solida, ma anche dall’approccio alle sue origini, è una Terrona, degna figlia di una cultura che ha nella terra e nel mare il principio della accoglienza e del sapore delle note. Si canta a queste latitudini, si canta per gioia e per dolore, e lei pur raccogliendo influenze jazz, blues e pop, sa mescolare tutto sapientemente, senza mai sembrare troppo distante dal suo pubblico.

In questo Jo so accussì è un omaggio non solo a Pino Daniele, ma ad un certo modo di esprimere un suono, a delle sensazioni, alla capacità di racconto che era unica in un certo panorama culturale. Pino Daniele fu un precursore da questo punto di vista ed è per questo che la sua musica la sentiamo così vicina a distanza di tanti anni. Forse un artista dovrebbe avere come primo obiettivo quello di andare oltre il tempo in cui vive, lo dovrebbe comprendere, trasformare, acquisire, ma rendere l’espressione musicale capace di valicare il passaggio delle stagioni. In questo ho la percezione che la Brancale abbia intrapreso nella propria evoluzione artistica la strada giusta, lo si sente nel duetto con Ghemon, sound anni ’70 calati nella cultura contemporanea, con impasto di voci e di mondi completamente diversi.

 

Ed arriva, arriva tutta la forza di questa trentenne che si plasma e comprende il vento, che parte dalle proprie origini, di qui l’uso del dialetto anche sui suoi social, ma che non vuole restare confinata, vuole e può esportare questa sua musicalità oltre le colonne d’Ercole. Bellissime le collaborazioni presenti nel suo ultimo disco, ma bellissima la sua padronanza delle tavole del palco, che la fanno essere, a mio avviso tra le artiste contemporanee, forse la più internazionale e la meno legata ad una certa immagine di tormento interiore che scorgo in altre.

Si io sono convinta che possa avere un grande spazio, pur mantenendo la propria unicità, pur usando il pop contaminato, senza che questa cosa debba sconvolgere i benpensanti e puristi del blues o del jazz. I suoi concerti sono tutti sold out, ed arriva il 16 dicembre a Napoli presso il CineTeatro Acacia, con tutto il suo bagaglio emotivo e musicale per regalare una splendida esperienza a tutti i fortunati che potranno assistere al suo spettacolo, perché vi garantisco che non si risparmierà un solo attimo, perché è femmina Serena e forte di esserlo e di prendersi la scena con coraggio e lungimiranza.

Nasco in un piccolo paese della provincia di Avellino, con il sogno di girare il mondo e di fare la giornalista, sullo stile della Fallaci. Completamente immersa, sin dalla più tenera età nei libri e nella musica, ma mai musona o distante dagli altri. Sempre con una battaglia da combattere, sempre con l’insolenza nella risposta verso gli adulti o verso chi in qualche modo pensasse che le regole non potessero essere afferrate tra le dita e cambiate. Ho sempre avuto la Provincia nel cuore, ma l’ho sempre vissuta come un limite, una sorta di casa delle bambole troppo stretta, per chi non voleva conformarsi a quello che gli altri avevano già deciso io fossi o facessi. Decido di frequentare Giurisprudenza, con il sogno della Magistratura, invaghita del mito di Mani Pulite, ma la nostra terra è troppo complicata, per non imparare presto ad essere flessibile anche con i sogni e le speranze, per cui divento avvocato con una specializzazione in diritto del lavoro prima e diritto di famiglia poi, ma anomala anche nella professione e mal amalgamata alla casta degli avvocati della mia città. La politica e la cultura , i cuori pulsanti della mia esistenza, perché in un mondo che gira al contrario non posso rinunciare a dire la mia e a piantare semi di bellezza. Scrivo per diletto e per bisogno, con la speranza che prima o poi quei semi possano diventare alberi.