Bisogna togliere a Cesare tutto quello che non gli appartiene

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di Maria Rusolo

Il più grande errore della politica moderna è quello di non aver creato le basi per la crescita e lo sviluppo di una classe dirigente. Chi ha detenuto, posseduto il potere lo ha fatto in maniera esclusiva e totalitaria, costruendo partiti a propria immagine e somiglianza, cancellando la base e gli iscritti e mantenendo per sempre, sino alla morte il proprio ruolo di guida. I leader in realtà sono ben altra cosa, guidano i processi politici e sociali, gettando le basi per la individuazione e la formazione di persone competenti da inserire nella macchina istituzionale e di gestione amministrativa della cosa pubblica.

Quando il potere si identifica con una persona, con un nome, anche se si tratta di personalità piene di qualità, di carisma, di elementi di capacità e di attitudini di guida, si paga un scotto altissimo in termini di migliore funzionamento del Paese. La scomparsa di Silvio Berlusconi, mostra con tutta evidenza questo elemento negativo e terribile, e se qualcuno ne sottolinea la caratura deve farlo con l’onestà intellettuale di dire che non aver lasciato eredi non è assolutamente positivo, anzi.

Per cui nel leggere gli editoriali di questa mattina, mi viene da scuotere la testa dinanzi a simili sottolineature, anche se a farlo è chi in questi anni si è comportato nello stesso identico modo, pur appartenendo ad una generazione completamente diversa. Un partito è fatto di individui, di idee, di visioni, che nascono dalla sintesi anche di posizioni differenti, le cariche devono essere sempre contendibili e nessuno deve assumere ogni decisione o deve avere il potere da solo di scegliere candidature e ruoli. Quando l’aspetto autoritario e di personalizzazione si espande non è un bene per la democrazia, anzi si crea una frattura che rende questa forma di governo del popolo, malata e morente.

Si allarga il fenomeno del populismo nella sua accezione più deteriore, i cittadini non si riconoscono nei candidati e negli eletti, selezionati con cura nelle proprie stanze più per logica di fedeltà che di capacità e di appartenenza, si viene premiati per il livello di ubbidienza cieca al capo e non per il lavoro fatto sui territori e si ammazza ogni forma di contraddittorio e di alternativa culturale. Nella mia terra è ancora peggio, i grandi uomini politici di una volta, quelli che realmente hanno avuto il ruolo di statisti ed hanno inciso sulla storia, nel bene e nel male hanno volutamente e scientemente lasciato il vuoto, ed il diluvio si è abbattuto sulle generazioni più giovani, lasciando il tutto nelle mani di un finto civismo che si limita all’essenziale senza avere un orizzonte ed una prospettiva.

Ed allora quando si parla, si ricostruisce la storia di un personaggio si dovrebbe anche assumersi la responsabilità di capire cosa non abbia funzionato, perché non si ripetano più gli errori del passato. Esistono ragazzi, giovani donne ed uomini capaci, che possono cambiare il sistema, ma i partiti devono diventare nuovamente luoghi di costruzione di un pensiero politico, non poltronifici in balia di assemblee plebiscitarie. Un ricordo non mi abbandonerà mai, un’assemblea del PD ed io giovane ragazza a cui viene chiesto di confermare una nomina alzando la mano, in quella circostanza mi sono guardata intorno ed ho lasciato la sala. Non c’è evoluzione, senza una discussione, non c’è crescita e sviluppo senza valorizzazione delle risorse, se tutto è già scritto altrove, perché partecipare attivamente, metterci la faccia ed andare a votare. Se non cambia la prospettiva i cittadini rinunceranno al proprio ruolo e si accontenteranno del selfie con il capo, da postare sui social. Conta non essere seduti preda di un aizzatore di folle, conta esprimersi, prepararsi, incidere, modificare.

Quelli di allora e di oggi non sono stati uomini di Stato, ma uomini che individuavano e vivevano una leadership spicciola spicciola, convinti che la politica sia un affare da cui trarre un utile, un modo per dare da bere, quanto basta, agli assetati, senza costruire per il futuro, sono stati e sono l’immagine dei rampanti yuppies degli anni Novanta che hanno introdotto la logica aziendale, laddove di azienda non ci deve essere nulla, penso alla scuola, all’università, alla sanità. Sono entrati nella logica di un Paese spaccato ed hanno giocato ad aizzare gli uni contro gli altri, trovando un terreno fertile, in una comunità che non ha mai davvero risolto le proprie fratture. E’ questo quello che si merita la prossima generazione, una verità storica falsata ed a metà nella quale continuare a sopravvivere? Onestamente io mi guardo intorno e vedo ancora piccoli barlumi di speranza, si deve imparare solo a coglierli.

  La politica è tale se prefigura il nuovo, non esiste politica che non prefiguri il nuovo.  

Nasco in un piccolo paese della provincia di Avellino, con il sogno di girare il mondo e di fare la giornalista, sullo stile della Fallaci. Completamente immersa, sin dalla più tenera età nei libri e nella musica, ma mai musona o distante dagli altri. Sempre con una battaglia da combattere, sempre con l’insolenza nella risposta verso gli adulti o verso chi in qualche modo pensasse che le regole non potessero essere afferrate tra le dita e cambiate. Ho sempre avuto la Provincia nel cuore, ma l’ho sempre vissuta come un limite, una sorta di casa delle bambole troppo stretta, per chi non voleva conformarsi a quello che gli altri avevano già deciso io fossi o facessi. Decido di frequentare Giurisprudenza, con il sogno della Magistratura, invaghita del mito di Mani Pulite, ma la nostra terra è troppo complicata, per non imparare presto ad essere flessibile anche con i sogni e le speranze, per cui divento avvocato con una specializzazione in diritto del lavoro prima e diritto di famiglia poi, ma anomala anche nella professione e mal amalgamata alla casta degli avvocati della mia città. La politica e la cultura , i cuori pulsanti della mia esistenza, perché in un mondo che gira al contrario non posso rinunciare a dire la mia e a piantare semi di bellezza. Scrivo per diletto e per bisogno, con la speranza che prima o poi quei semi possano diventare alberi.