Come cercare di spiegare il giorno della memoria a un bambino

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di Pasquale Di Fenzo

Questa settimana potrebbe essere capitato che un bambino, tornando da scuola abbia potuto chiedere: “Ma cos’è il giorno della Memoria?”. Perché magari la maestra ha solo accennato all’argomento, non avendo avuto il tempo necessario per poterlo approfondire. Allora sta ai genitori, ai nonni, a uno zio o una zia il compito di informare il bambino, per natura curioso e predisposto. Non ancora geneticamente modificato alla cattiveria umana. Solo col ricordo costante si può scongiurare il pericolo del ripetersi di certi eventi.

-Ma perché i nazisti fecero la guerra agli ebrei?

E qua bisogna stare attenti e partire col piede giusto. Bisogna spiegare che tra nazisti ed ebrei non ci fu nessuna guerra..La guerra si combatte ad armi pari, o quasi. Se hai cannoni, bombe, aerei, fucili e arrivi ad usare camere a gas per le uccisioni di massa e il tuo nemico non ha niente, non si può parlare di guerra, ma di sterminio. Se un barcone in mezzo al mare sta affondando ed una nave gira a largo, magari facendo finta di non vedere, o aspettando che intervenga qualcun altro, trasgredendo le leggi del mare per poter ubbidire a un ordine insulso e inumano, o per non incorrere negli strali di un iniquo “decreto sicurezza”, non si può parlare di naufragio, ma di assassinio plurimo.

-E quanti ebrei furono sterminati?

Qua pure bisogna stare attenti, perché il bambino non ha ancora acquisito il senso delle proporzioni. Non sa quantificare l’enormità del numero di sei milioni di morti. Bisogna saper scendere (o forse sforzarsi di salire) al suo livello intellettivo, fare degli esempi pratici, come quando si dice “grande come un elefante”, “piccolo come una formica”, oppure “lungo come un serpente”:

-Di quanti bambini è formata la tua classe? Ora prendi dieci, cento, mille classe di bambini e mettile in uno stadio di calcio. Ti ricordi vero quando siamo stati alla partita e lo stadio era pieno? Ebbene riuscirai a riempire solo una parte di quello stadio. Immagina di riempirlo tutto. Poi riempi altri dieci stadi, altri venti stadi, tutti pieni di bambini. Solo di bambini, tutti strappati alle loro mamme. Avrai raggiunto il numero di un milione. Un milione di bambini, che poi è proprio il numero di bambini morti in quello sterminio. Ma non basta. Adesso riempi ancora tanti e tanti stadi, molti di più, troppi di più. Tutti pieni di mamme, di papà, di fratelli e sorelle più grandi, di cugini, di zii, di zie, di nonni e di nonne. Forse arriverai a sei milioni di persone che sono state sterminate in quegli anni. Dalla sera alla mattina, intere famiglie vennero spogliate di tutto, persino del nome in cambio di un numero tatuato sul braccio. I bambini come te non potevano più andare a scuola e i loro papà non potevano più lavorare. In tutta Europa. In Italia furono più di settemila gli ebrei deportati nei campi di concentramento. Italiani come me e te. Pochi più di un centinaio fecero ritorno.

-Ma perché i tedeschi uccidevano tutta quella gente, perché erano così cattivi?

-Prima di tutto i tedeschi non erano tutti nazisti, e non erano tutti cattivi. O almeno non sapevano di esserlo. Molti di loro, dopo avere ammazzato la gente, la sera tornava a casa, baciava i figli, salutava la moglie, e si metteva a tavola con la famiglia. Viveva, colpevolmente inconsapevole, a pochi chilometri, se non pochi metri, dai campi di sterminio L’eccessivo nazionalismo può facilmente sfociare nel razzismo, che ha sempre bisogno di individuare un nemico nel “diverso”. Gli ebrei, già perseguitati da secoli, furono un facile bersaglio. Bisogna scongiurare in tutti i modi il pericolo che si vada alla ricerca di “nuovi bersagli”.

-Ma come è possibile?

-E’ possibile! Molti facevano finta di non vedere, altri per paura di essere coinvolti, altri ancora perché pensavano di essere nel giusto. Altri per convenienza personale: c’erano i beni degli ebrei da spartirsi. Per fortuna non tutti erano fatti allo stesso modo. Forse avrai sentito parlare di Oskar Schindler o di Giorgio Perlasca, gente che col suo coraggio salvò migliaia di ebrei dalla morte. Non esitarono a rischiare la propria vita. Non si chiesero “perché io?”. Non incolparono gli americani, gli inglesi o i russi del mancato o ritardato intervento. Li salvavano e basta! Ora sono ricordati col titolo di “Giusto tra le Nazioni”. Tra loro ci sono quasi 700 italiani, tra i quali il campione di ciclismo Gino Bartali e il nonno di Alberto Angela, quello che tanto ti piace guardare in TV. E non solo loro, pure tanta gente comune e sconosciuta ai più. Sono più di ventiseimila nel mondo quelli che hanno salvato anche una sola di quelle vite umane destinate a morte sicura. Sono ricordati in molti Paesi, dove sono stati creati “I giardini dei Giusti”. All’ingresso del Giardino dei Giusti di Gerusalemme è riportata la frase: “Il vero Giusto è colui che si sente sempre a metà colpevole dei misfatti di tutti”.

-Ma gli ebrei erano diversi da noi? Forse erano cattivi?

-Certo che erano diversi! E c’erano pure dei cattivi tra di loro, come ce ne sono tra tutti, così come c’erano biondi o mori, grassi o magri, alti o bassi, bambini che sapevano giocare a pallone oppure no, proprio come nella tua squadra di calcetto. Come siamo diversi io e te, come sei diverso tu e tuo fratello, come sono diversi i tuoi compagni di scuola. Tutti. Perché ognuno di noi è diverso dall’altro. Fortunatamente. Solo, sempre e soltanto per questo, e non per altro. Soprattutto non per il colore della pelle, per il Dio in cui crede o per il Paese in cui è nato.

-Vabbè, nonno dai, ha ragione la nonna: tu come al solito esageri. Dimmi, si tratta di una favola, di una leggenda o è storia, come mi spieghi sempre alla fine delle cose che mi racconti? Mica è come quando mi racconti dei gol di Maradona?

-Ok, forse Diego quel gol al Verona non lo fece da ottanta metri, ma solo da quaranta. Ma ti assicuro che tutto quello che ti ho raccontato rappresenta la dura realtà.

-E i discendenti di quei tedeschi, quei nazisti, i loro figli, i loro nipoti, oggi si chiedono come cazzo si può essere essere così cattivi, crudeli ed imbecilli?

Non rimproverate il vostro bambino se per una volta gli è scappata una parolaccia: è segno di salute, oltre che di intelligenza e sensibilità. Oggi la stessa domanda, molti adulti non se le pongono più. La salvezza della memoria va affidata alle future generazioni. Stiamo perdendo l’umanità. Speriamo che i bambini ci aiutino almeno a recuperare la pietà. Fategli solo un’ultima raccomandazione, tra venti anni che raccontasse queste cose ai suoi figli e tra quaranta anni cercasse di raccontarle ai figli dei suoi figli, perché come scrisse Primo Levi: “E’ accaduto, quindi potrebbe accadere di nuovo”. E lo disse uno che, come la Senatrice Segre, visse sulla propria pelle quel dramma. Solo che Primo Levi, dal termine di quelle atrocità, e fino alla fine dei suoi giorni, è stato libero di girare per il mondo a portare la sua testimonianza. La Senatrice Segre, grazie al rigurgito del diffondersi di certi odi assurdi che ci eravamo illusi fossero ormai sopiti per sempre, a distanza di ottanta anni da quella tragedia, ha bisogno di una scorta, non solo per portare la sua preziosa testimonianza in giro per l’Italia, ma anche per andare al supermercato.

 

Pasquale Di Fenzo, PDF per gli amici, tifoso di Napoli prima che del Napoli. Non lesina critiche a Napoli e al Napoli, ma va “in freva” se qualcuno critica Napoli e il Napoli. Pensa di scrivere, ma il più delle volte sbarèa. L’obiettività è la sua dote migliore. Se il Napoli perde è colpa dell’arbitro. O della sfortuna. Sempre. Se vince lo ha meritato. Ha fatto sua una frase di Vujadin Boskov, apportando però una piccola aggiunta: “è rigore quando arbitro fischia, a favore del Napoli”. E’ ossessionato da Michu che, solo davanti alla porta del Bilbao passa la palla ad Hamsik invece di tirare in porta. Si sveglia di notte in un bagno di sudore gridando “Tira! Tira!”.