Gonzalo, quel nome non è più un tormento.

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Fino a qualche giorno fa solo l’idea di pronunciarne nome e cognome mi faceva rischiare l’orticaria. Vederlo in qualche antica immagine sulle figurine Panini o nei filmati in maglia azzurra idem. Lo evitavo e se proprio ero costretto dagli eventi calcistici a nominarlo per me era solo GH71, quell’acronimo combinato con la Smorfia napoletana che fissava implacabilmente e impietosamente il più terribile dei tradimenti, il suo passaggio all’odiata società bianco nera a partire da quel maledetto luglio 2016. Al di là dei due scudetti e delle due coppe Italia vinte con quelli lì credo che sotto sotto si sia pentito della scelta. La sua difficoltà nel ritrovare il peso forma nei due anni juventini, quel ghigno cattivo che non gli ricordavo, forse erano la misura di un sottile malessere psicologico, di una insoddisfazione e di una sofferenza che non si potevano palesare altrimenti che con il linguaggio del corpo. Lui accolto in pompa magna è stato messo alla porta senza molti riguardi un mese fa, dopo appena due campionati, a dimostrazione di quanto le vicende umane e le calcistiche in particolare siano soggette a repentini moti di fortuna a certe latitudini. Speriamo che ne faccia tesoro per valutare la sua parabola professionale, cos’è stata e cosa sarebbe potuta essere rimanendo dov’era.

In definitiva non credo che quella bianconera fosse la squadra adatta a un talento che a Napoli aveva sperimentato cosa significasse essere al centro di un progetto tecnico e dell’amore smisurato di una intera città. Ma questi sono problemi suoi, frutto a seconda dei punti di vista delle sue scelte o di una clausola ricchissima e maldestramente congegnata che consentì al concorrente italiano più temibile di assicurarsi il miglior attaccante del campionato. Quello che mi premeva dire era altro, quel nome e quel cognome ora li riesco a profferire senza dover correre a prendere il Bentelan. Lo dico: G-O-N-Z-A-L-O H-I-G-U-A-I-N. Non solo: sto sfogliando l’album Panini di mio figlio ho gli occhi fissi sul Pipita della grandissima stagione 2015-2016 e sto divorando filmati di YouTube con tutte le sue prodezze nei tre anni in maglia azzurra. Ebbene sì compagni di fede calcistica mi sono riappropriato del Pipita, di un pezzo di storia della mia squadra del cuore che non può essere dimenticato, di un attaccante straordinario capace di segnare 36 gol e di battere un mito come Gunnar Nordhal fermo a 35, primato di sempre nel girone unico della serie A; di fare centro per sei giornate consecutive in campionato al pari del migliore di sempre Diego Armando Maradona. E ancora un giocatore che ha contribuito in modo determinante con due gol da assoluto sparviero dell’area di rigore alla più goduriosa delle vittorie contro i bianconeri, quella della Supercoppa italiana a Doha. E infine un attaccante che ha vissuto il momento più felice dal punto di vista della media realizzativa proprio in maglia azzurra (in rete 91 volte su 146 partite, 0,62 a partita), più che nella Juve (0,52%), nel Real Madrid (0,45%) e nel River Plate (0,33). Per cui mi scuserete se domani sera non sarò tra coloro che fischieranno Gonzalo Higuain, quando calcherà il prato del S. Paolo con la nuova maglia del Milan.

                                                                                                        Marco Muffato, giornalista finanziario & tifoso del Napoli.

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