” La vita umana è breve, ma io vorrei vivere per sempre”

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di Christian Sanna

“Dobbiamo morire per restituire al Giappone il suo vero volto! E’ bene avere così cara la vita da lasciare morire lo spirito? Che esercito è mai questo che non ha valori più nobili della vita? Ora testimonieremo l’esistenza di un valore superiore all’attaccamento alla vita. Questo valore non è la libertà! Non è la democrazia! E’ il Giappone! E’ il Giappone, il Paese della storia e delle tradizioni che amiamo. Non c’è nessuno tra voi che desideri morire per sbattere il proprio corpo contro quella Costituzione che ha evirato il Giappone? Se c’è, che sorga e muoia con noi! Abbiamo intrapreso questa azione spinti dall’ardente desiderio che voi, che avete uno spirito puro, possiate tornare ad essere veri uomini, veri samurai!”

A pronunciare queste parole il 25 novembre del 1970 fu un uomo, nel suo “discorso al Giappone”, dal balcone dell’ufficio del Ministero della Difesa davanti a migliaia di soldati, a decine di giornalisti della radio e della televisione. Quell’uomo dal fisico definito con i coefficienti di massa grassa bassissimi, quel quarantacinquenne determinato e patriottico era Yukio Mishima.

Scrittore, poeta, drammaturgo, saggista e poi ancora attore, regista ed artista marziale, Mishima fu anche un fervente nazionalista dalla personalità complessa. Un uomo un personaggio destinato a far discutere, a suscitare scandalo. Un patriota difficilmente identificabile con un partito politico, probabilmente apartitico.

Uno spirito battagliero ed un raffinato esteta, una personalità che ha saputo intrecciare vita e poema epico. Perchè questo fece per tutta la sua breve vita l’ affascinante intellettuale giapponese – confuse vita ed arte e visse la propria esistenza come un capolavoro, tanto da diventare egli stesso capolavoro. Un uomo che aveva nella parola la sua arma più potente di seduzione e che ad un certo punto scoprì il corpo. Ossessionato dalla perfezione fisica si dedicò con allenamenti costanti e duri alla costruzione, mattone dopo mattone, di un corpo assai definito sottolineando la centralità del fisico e quindi dell’estetica ed “accusando” i giapponesi di considerarlo un aspetto secondario. Come se attraverso il concetto di bellezza Yukio Mishima avesse voluto afferrare l’Idea; un pò quello che sosteneva Platone quando affermava che la bellezza è una sollecitazione che permette di saldare il sensibile con l’intellegibile.

Da alcuni considerato il D’Annunzio d’oriente, Mishima resta l’autore giapponese più tradotto al mondo, un profilo difficile da collocare fra le fila dei conservatori, ma anche dei progressisti. Personaggio scomodo per i primi, a causa della sua presunta bisessualità ( a quei tempi un tabù) e della sua apoliticità, ma anche per i secondi per via dell’acceso nazionalismo. Sposato e padre di due figli, Mishima ( per ben tre volte candidato al premio Nobel) fu un autore assai prolifico ed un personaggio versatile; fra le sue opere più importanti: Lezioni spirituali per giovani samurai ( raccolta di cinque testi, scritta fra il 1968 ed il 1970, in cui si evince la scelta di un’azione paramilitare contro un sistema sociale che giudicava decadente), il saggio autobiografico Sole d’acciaio ( descrive il suo interesse per le arti marziali ed il rapporto fra teoria, azione ed estetica), La voce degli spiriti eroici ( testo in cui esalta la purezza degli ideali ed il patriottismo). Probabilmente in letteratura non c’è nessuno che somigli a Mishima, nessuno che sia così misurato ed al tempo stesso spietato; a rileggerlo questo autore sembra anacronistico, un ossimoro, melodia dei contrasti. Rappresenta il rigore gerarchico e la disciplina militare in un’epoca pacifista.

Una specie di nobile vinto dalla storia. Intellettuale decadente e nostalgico con l’ossessione per il body – building, perseguì un’estetica che univa la tradizione giapponese a tratti occidentali “i quattro fiumi della mia vita” e cioè scrittura, teatro, corpo ed azione. Concetto splendidamente sintetizzato dal film omaggio ” Una vita in quattro capitoli” diretto da Paul Schrader; i quattro capitoli sono il riassunto perfetto dei momenti chiave dell’esistenza del tormentato autore nipponico. Per Yukio “Il valore di un uomo si rivela nell’istante in cui la vita si confronta con la morte” e ,coerente fino in fondo, porta a termine il suo progetto; la mattina del 25 novembre del 1970 chiamò il suo editore dicendogli che l’ultimo libro a cui stava lavorando era pronto ( una specie di testamento letterario) e che poteva ritirarlo.

Convocò alcuni suoi adepti del Tate no Kai (Associazione degli scudi formata da cinquanta studenti universitari conservatori tradizionalisti), indossò l’uniforme e si diresse verso l’ufficio del Ministero della Difesa. Il discorso con cui ho iniziato questo articolo è il preludio a quello che accadde subito dopo; rientrato nell’ufficio dove i suoi adepti tenevano in ostaggio titolare e collaboratori, fece Seppuku, rituale che nell’antico Giappone sta ad indicare il suicidio obbligatorio o volontario, privilegio della casta dei samurai. Mishima affondò deciso il coltello Tantò nel proprio ventre, lì dove si riteneva che avesse sede l’anima e per evitare lo strazio toccò ad uno degli allievi dargli il colpo di grazia.

Il designato preso dall’emozione sbagliò più volte il colpo decisivo fino all’intervento risolutore di un altro adepto che, decapitandolo, mise fine al dolore di un’anima talmente tormentata da aver scelto per se stessa un epilogo violento, tragico e spettacolare. Yukio Mishima la cui sensibilità gli ispirava versi come “Non importa cadere/ cadere prima cadere primo/ è proprio il fiore di ciliegio che nobile cade nella notte in tempesta” riposa da cinquant’anni nel cimitero di Tokio. Confuse vita e poema epico e pensò di afferarre l’Idea attraverso il culto della Bellezza. Fece Seppuku come un vero samurai. E pensare che un giorno disse ” La vita umana è breve, ma io vorrei vivere per sempre”.

 

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