Autunno, stagione della sostanza e dell’avvenire

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di Maria Rusolo

“L’autunno è una seconda primavera, quando ogni foglia è un fiore”

Lo so che qualcuno penserà eccola la rompi che si lamenta del caldo, anche quest’anno, eccola che non ama la convivialità che la stagione calda conduce con se, i bagni a mare, le pedalate, i bambini che liberi dalla scuola urlano per le strade e corrono felici, le nottate trascorse a bere birra gelata con i corpi appena coperti.

Come si fa a non amare la stagione della libertà sfrenata per antonomasia, quella degli ormoni liberi, delle cicale e della luce perenne? Per cui non andate avanti, perché a me l’estate non piace, e non dipende dalle vampate di calore dovute all’età che mi tengono sveglia la notte, ma dal fatto che semplicemente sin dalla più tenera età a me sembra un passaggio rumoroso e rapido dell’esistenza, che sfianca corpi e mente e toglie ogni senso di umana riflessione.

Per me l’autunno ha sempre rappresentato il momento in cui potevo pensare a costruire, ai progetti, ai libri da leggere, al programma scolastico, al lavoro ed al gusto della pausa del weekend come tappa per recuperare le energie. Ho sempre odiato la staticità dei mesi estivi, la sospensione delle attività scolastiche, il perdere di vista i compagni, la necessità di riempire la giornata di cose da fare, per non rimanere legati all’assenza ed al nulla.

Non dipende dalla mia tendenza a cedere alla malinconia, al contrario io divento triste da giugno, non dormo, mi sento in disordine con il caldo che mi sgualcisce i vestiti, mi fa sciogliere il trucco e mi costringe a legare i capelli come una etoile della Scala senza scarpette da ballo.

Io amo l’ordine e la compostezza estetica ed etica, amo le regole, gli orari fissi, il buio che come certezza arriva e mi avvolge, e mi costringe ad accendere la lampada da tavolo, mentre continuo a riordinare documenti e speranze per il giorno dopo. Tutto al proprio posto, mentre mi muovo leggera, le gambe con il caldo diventano zampogne ingestibili che trascino per strada, amo il caldo avvolgente del cappotto color cammello di cui alzo il collo per sentirmi diva tra le dive, le scarpe chiuse e dai tacchi forti che mi fanno passeggiare sulle foglie cadute come una modella sulla passerella di Valentino. L’illusione di essere perfetta, con il corpo coperto che impedisce allo sguardo altrui di penetrare le mie insicurezze ed i miei difetti.

Il tempo scorre più lentamente nella stagione delle piogge e degli alberi che perdono la forza ed entrano in letargo ed è il tempo, da sempre il mio migliore alleato per poter controllare il respiro ed il panico, per poter sognare che il mondo sia un posto migliore nel quale adagiarsi a guardare le stelle o le nuvole che si rincorrono. Il silenzio mi manca e detesto il rumore, la necessità di mostrare agli altri che si esiste e che con il caldo si accentua. Ecco se dovessi dirlo, l’autunno è la stagione della sostanza e dell’avvenire, l’estate, quella dell’apparenza e del presente. Il qui ed ora non mi ha mai convinto. Siate clementi con me, da domani torno ad arrabbiarmi con qualcuno, prometto.

Il sole ci aveva sfiancati, resi febbrosi; ora la nebbia ci placa, ci fa rientrare in noi. Le finestre aperte sono come finestre chiuse, non offrono visioni ma solo tende di grigio. E’ tempo di chiuderle e riscoprire la casa… Autunno di silenzio ritrovato, di concentrazione densa, di solitudine calda, di meditazione, di preghiera, di te.

Nasco in un piccolo paese della provincia di Avellino, con il sogno di girare il mondo e di fare la giornalista, sullo stile della Fallaci. Completamente immersa, sin dalla più tenera età nei libri e nella musica, ma mai musona o distante dagli altri. Sempre con una battaglia da combattere, sempre con l’insolenza nella risposta verso gli adulti o verso chi in qualche modo pensasse che le regole non potessero essere afferrate tra le dita e cambiate. Ho sempre avuto la Provincia nel cuore, ma l’ho sempre vissuta come un limite, una sorta di casa delle bambole troppo stretta, per chi non voleva conformarsi a quello che gli altri avevano già deciso io fossi o facessi. Decido di frequentare Giurisprudenza, con il sogno della Magistratura, invaghita del mito di Mani Pulite, ma la nostra terra è troppo complicata, per non imparare presto ad essere flessibile anche con i sogni e le speranze, per cui divento avvocato con una specializzazione in diritto del lavoro prima e diritto di famiglia poi, ma anomala anche nella professione e mal amalgamata alla casta degli avvocati della mia città. La politica e la cultura , i cuori pulsanti della mia esistenza, perché in un mondo che gira al contrario non posso rinunciare a dire la mia e a piantare semi di bellezza. Scrivo per diletto e per bisogno, con la speranza che prima o poi quei semi possano diventare alberi.