Contro il logorio dell’autocelebrazione

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di Mariavittoria Picone

“Non subordinarsi a niente, né a un uomo né a un amore né a un’idea; avere quell’indipendenza distante che consiste nel diffidare della verità e, ammesso che esista, dell’utilità della sua conoscenza. […] Appartenere: ecco la banalità. Fede, ideale, donna o professione: ecco la prigione e le catene. Essere è essere libero. […] No: niente legami, neppure con noi stessi! Liberi da noi stessi e dagli altri, contemplativi privi di estasi, pensatori privi di conclusioni, vivremo, liberi da Dio, il piccolo intervallo che le distrazioni dei carnefici concedono alla nostra estasi da cortile.” Da Il libro dell’inquietudine – Fernando Pessoa.

Non facciamo altro che cercare di appartenere a qualcuno, ad un gruppo, ad un’ideologia, o semplicemente a un progetto. Liberi non vogliamo proprio esserlo, troppo faticoso. È colpa nostra, lo so, noi che dovremmo riempire il mondo di atti eroici, di coraggio, di fiducia, che dovremmo essere un po’ più saggi, noi, che poi stiamo ore su Facebook, che ci stendiamo sul divano appena le cose non vanno come vorremmo, usciamo poco, ci facciamo selfie e la nostra inquietudine la sfoghiamo in post accusatori. Allora giù parole come “tossico”, “narcisista”, “nichilista”, espressioni come “mai una gioia”, e poi, e poi basta.

Siamo noi, che abbiamo intorno ai cinquanta e ci siamo accorti che le favole Disney sono una gran fregatura. Ce ne siamo accorti già da qualche anno, ma adesso, nell’età di mezzo, iniziamo a capire che una favola è un alibi; siamo svegli proprio direi. Altro che boomer, generazione X o Y, o quello che volete, siamo solo degli gnoccoloni. Sì, l’ho chiamata età di mezzo perché pare che qui si viva più o meno fino a novanta, tanto, davvero troppo. Al posto delle favole, di cui proprio non riusciamo a fare a meno, abbiamo prodotto una letteratura mediocre consolatoria, che riconduce ogni malessere alla dipendenza affettiva, ai danni derivanti dalla frequentazione del “narcisista seriale”.

Oramai ogni male è dovuto ad un rapporto tossico. Ergo, ci trastulliamo nella lettura di testi compiacenti, nella preparazione di tisane antiossidanti, di diete disintossicanti e di tutto ciò che ci aiuta a spostare il locus di controllo fuori da noi. Finiamo per accusare tutti fuorché noi stessi, stiamo sempre a cercare scuse. Qualcuno dovrà pure dirlo: la causa del nostro malessere siamo noi. Tutto quello che non abbiamo non lo abbiamo voluto, tutto quello che critichiamo, il più delle volte, lo desideriamo. Non vorrei fare della psicologia spicciola, o forse sì, per combattere un certo qualunquismo va bene, ma mi sembra che perdiamo il tempo a piangerci addosso, a trovare giustificazioni, per poi giungere al rimedio più facile e dannoso: l’autocelebrazione. Nessuno mi capisce? Mi capisco io. Non mi amano a sufficienza? Lo faccio io.

Il nuovo Umanesimo fai da te, in 80 metri quadrati, a volte molto meno. Avevano ragione a dire che la masturbazione fa diventare ciechi, ma non quella fisica, quella mentale, perché non si vede più attorno, non si percepisce più la realtà. Nessuno vuole più ascoltare, tutti a parlare, tutti protagonisti; mi sa che abbiamo travisato il concetto di autostima. Il problema non è il narcisista che abusa della nostra dipendenza affettiva, il problema è il narcisista che è dentro di noi, che entra in competizione.

Insomma, assodato che l’amore non esiste, la felicità neanche, che cosa stiamo cercando? Un modo per farci ricordare? Da chi? Non vi aspettate una risposta perché non ce l’ho, ma vi dirò di più, non sono neanche completamente d’accordo con Pessoa, un po’ di dipendenza pure è bella, basta che non sia eccessiva, ma avere qualcuno o qualcosa a cui affidarci è necessario. Un modo forse c’è per evitare eccessi, e non è la differenziazione del rischio, ovvero puntare su più dipendenze, come spesso si finisce per fare, ma è la presa di coscienza.

A chi ci dice che ci troviamo in una relazione tossica, che non stiamo agendo da persone sane, sorridiamo e regaliamo un mobile da montare: l’artigianato è sempre stato un ottimo rimedio. Basta teoria, evviva la pratica. Meno male che dopo l’Umanesimo c’è il Rinascimento.

Mariavittoria Picone nasce in un caldo dicembre del 1970 a Napoli, dove vive e lavora. Ha pubblicato racconti e poesie su blog e riviste on line. Nel 2020 è uscito il suo primo romanzo Condominio Arenella (IOD Edizioni), accolto favorevolmente dalla critica e dai lettori. Nel 2021 pubblica, sempre con la casa editrice IOD, la raccolta di versi e pensieri Novantanove fiori selvatici. Sognatrice pragmatica, poetessa in prosa, sempre in bilico tra ordinarietà e magia, ironica e drammatica, si definisce un fiore selvatico, un'erba ostinata, nata tra il fuoco e l'acqua, tra un vulcano e il mare.