Gli amori perduti…

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di Christian Sanna

Lo scrittore e drammaturgo francese Romain Rolland scrisse che “Ognuno porta in fondo a sé stesso come un piccolo cimitero di coloro che ha amato”. C’è chi questi lutti se li trascina dentro e chi ne ha la capacità di fare poesia; così la delusione da che era distruzione diventa costruttore di letteratura, veicolo per le emozioni.

Siamo stati tutti innamorati in una sera d’estate durante un falò in spiaggia fra una birra e un giro di chitarra, le canzoni cantate a squarciagola; quei ritornelli che sembravano scritti apposta per noi. E già! Perchè nei testi di quelle canzoni ci ritrovavi molto della storia che stavi vivendo e delle emozioni che stavi provando. Probabile che come ogni cosa anche l’amore perduto vada storicizzato per poterlo comprendere meglio, ma mi è rimasta memoria faziosa e non riesco a non pensare a quelle storie passate come grandi amori.

Con buona pace di ciò che pensava Albert Camus “Il vero amore è eccezionale, due o tre volte in un secolo all’incirca. Per il resto, vanità o noia”. Ho sempre pensato che l’amore fosse una specie di febbre impossibile da misurare se non con la separazione. Può sembrare un luogo comune, ma qualunque cosa la si apprezza di più una volta perduta, come se la lontananza moltiplicasse il valore di un bene che davamo per scontato quando l’avevamo, ignorando quanto fosse prezioso. Noi non siamo fatti per essere eterni!

Flirtiamo tutta la vita con il concetto di infinito, ma restiamo fedeli alla fuggevolezza delle cose, alla precarietà dei sentimenti. Amiamo fino ad un certo punto, entro un limite. La curiosità verso l’altro sembra avere una data di scadenza, dopo un certo numero di anni quell’odore che conosciamo a memoria ci sembra stantìo, non ne apprezziamo più l’evoluzione. La letteratura è devastata da amori perduti, storie andate a male, per non parlare del cinema e delle canzoni. Ha successo l’amore che finisce, perchè la donna e l’uomo in fondo lo sanno che è tutto un sogno l’innamoramento, mentre la vera sfida è restare insieme per la vita, nonostante tutto.

Non si esce vivi dalla vita come non si esce innamorati dall’amore, perchè la noia prima o poi viene e si prende tutto in una partita senza vincitori nè vinti. Restano le parole scritte sui bigliettini, le lettere d’amore che Fernando Pessoa considerava ridicole, le fotografie, ma soprattutto rimane ciò che si vuole ricordare, materiale, a disposizione di mente e cuore, da revisionare. Fabrizio De Andrè ebbe la genialità di estrarre la nostalgia dall’Adagio del Concerto per tromba, archi e basso continuo in re maggiore di Telemann, per farne capolavoro del disamore con la celebre La Canzone dell’Amore Perduto, dove raccontò attraverso immagini floreali (viole, rose) un sentimento ormai spento fra svogliate carezze e qualche tenerezza con gli archi a creare quell’atmosfera di drammaticità tipica di quei momenti in cui un sogno svanisce per lasciare spazio alla delusione e alla tristezza. Resta la mia canzone preferita, una dolce ossessione che ascolto da almeno trent’anni quasi tutti i giorni.

E’ il mio cuore che timbra il cartellino allo struggimento, come se sentisse il bisogno di riaprire antiche ferite per considerarsi vivo. Quanti amori che non erano amori abbiamo perduto e quanti rimpianti hanno accompagnato quelle suggestioni? Dove sono andati quei baci che non abbiamo dato? Dove li abbiamo perduti certi tramonti? Perchè i miei occhi non sanno più piangere per amore? Chi mi ha portato via l’entusiasmo che avevo ogni volta che sentivo che prima o poi t’avrei incontrata? Sono stato innamorato anch’io prima che la filosofia mi investisse, ho tremato dall’emozione per un paio d’occhi fissi e dritti nei miei, prima che diventassi l’uomo razionale, disincantato  e perduto che sono diventato.

Perchè mi sono perduto, inghiottito nello spazio, fra le stelle di quegli amori che hanno brillanto nella mia vita per un tempo lungo o breve, ma comunque intenso e significativo. Ecco, nella mia memoria è sempre giorno o sera con le luci accese, rivedo ogni cosa nitidamente. L’amore perduto resta. Resta sempre. Mi ha salvato dal buio e continuerà a farlo.

Provo a descrivermi in una frase, ma è un pò come rinchiudere il mare in un bicchiere. Allora potrei definirmi "Un solitudinista visionario animale sociale ed un cercatore di spiritualità, tutto occhi ed inquietudine, perdutamente innamorato dell'Idea che non è ancora riuscito ad afferrare, col cuore di cristallo. Fregato dai sentimenti". Ritengo superfluo aggiungere i titoli di studio conseguiti, i lavori svolti, gli eventi culturali organizzati e presentati, gli impegni nella politica e nel sociale. E se a qualcuno sta balenando in mente l'idea ( sbagliata) che io possa essere un insopportabile presuntuoso, sappia che è appena caduto nella rete che ho preparato. Io voglio che a parlare per me siano gli articoli; i lettori più attenti ci troveranno frammenti d'anima.