I peggiori anni

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Che il pomeriggio non fosse iniziato nel migliore dei modi, avrei dovuto comprenderlo quando il nastro magnetico della cassetta dei Queen, che conservavo come una reliquia, s’incastrò nell’autoradio. La voce di Freddie Mercury si trasformò in un lamento, “Innuendo” s’interruppe proprio mentre stava per partire l’assolo di mandolino.

Cercai di non farmi prendere dal panico. Guardai nello specchietto retrovisore e accostai nella piazzola di sosta. L’operazione si rivelò più complicata del previsto. Avevo paura di spezzare il nastro e dire addio alla cassetta, l’unica originale che avessi mai acquistato. Dopo qualche minuto piegato sull’autoradio, col caldo che già in quel periodo dell’anno era insopportabile, fui costretto a desistere. La cassetta rimase ficcata nel mangianastri e dovetti accontentarmi di ascoltare una stazione radiofonica per il resto del tragitto.

Ero già in ritardo e non potevo prendere altro tempo. Dovevo essere in città per le sei e mezza. Guardai l’orologio e m’accorsi che mancava poco più di mezz’ora. Non ce l’avrei mai fatta. Quel senso di frustrazione s’accompagnò a un momento quasi fatale di distrazione. Infatti, stavo rientrando nella corsia di marcia senza accorgermi che, in quello stesso istante, stavano sopraggiungendo a breve distanza l’una dall’altra tre macchine, una marrone, un’altra bianca e l’ultima blu. Per un soffio, non mi centrarono.

Erano simili a quelle dei politici o comunque a quelle delle persone importanti. La prima aveva anche una sirena sul lato destro, quello del passeggero. La cosa mi incuriosì e provai a tallonarle anche se le prestazioni del mio motore lasciavano alquanto a desiderare in confronto a quei potenti bolidi. Schiacciai il piede sull’acceleratore e provai almeno a non perderli di vista. Intanto, alla radio, era partito un bel pezzo dei Creedence che mi trasmise ulteriore adrenalina.

Better run through the jungle”, urlava John Fogerty mentre tentavo disperatamente di spingere la mia Fiat Uno col motore leggermente truccato verso prestazioni inimmaginabili. Mi stavo avvicinando a vista d’occhio quando s’accese la spia arancione della benzina. Minchia, fui costretto a rallentare per gestire al meglio la riserva di carburante. Non avrei trovato una stazione di benzina almeno fino all’ingresso in città. Mi sentivo come quei piloti di Formula 1 che sono costretti a rientrare ai box quando sono vicini al trionfo.

Le tre macchine diventarono macchie colorate sempre più sfuggenti. Il marrone, il bianco e il blu erano sempre più distanti. Mi stavo per arrendere. La canzone dei Creedence era finita quando, per non so quale maledetto motivo, il segnale della radio fu improvvisamente disturbato da strane interferenze. Delle voci che davano comandi, parole prima incomprensibili e poi terribili. Parole che annunciavano qualcosa di inimmaginabile. Qualcosa di spaventoso. Qualcosa che non avrei voluto ascoltare.

Mi venne istintivo frenare, mi stavo quasi fermando lì, in mezzo all’autostrada, con le altre macchine che arrivavano a tutta velocità alle mie spalle, sia a destra che a sinistra. Poi, ci fu uno scoppio che non dimenticherò mai più finché campo, potente come una bomba atomica, devastante come un terremoto. Fece tremare anche le montagne. Il fumo denso e nero che fu generato dall’esplosione inghiottì quello che restava del marrone, del bianco e del blu di quelle macchine eleganti che m’avevano sorpassato poco prima. L’autostrada era ridotta a un cumulo di macerie, detriti e corpi smembrati.

Era il 23 maggio 1992, quella sera non c’andai più a Palermo e non riuscii nemmeno a riparare la cassetta dei Queen.

Gianluca Spera, classe 1978. Di professione avvocato da cui trae infinita ispirazione. Scrittore per vocazione e istinto di conservazione. I suoi racconti “Nella tana del topo” e “L’ultima notte dell’anno” sono stati premiati nell’ambito del concorso “Arianna Ziccardi”. Il racconto “Nel ventre del potere” è stato pubblicato all’interno dell’antologia noir “Rosso perfetto-nero perfetto” (edita da Ippiter Edizioni). Autore del romanzo "Delitto di una notte di mezza estate" (Ad est dell'equatore)" Napoletano per affinità, elezione e adozione. Crede che le parole siano l’ultimo baluardo a difesa della libertà e dei diritti. «L'italiano non è l'italiano: è il ragionare», insegnava Sciascia. E’ giunta l’ora di recuperare linguaggio e ingegno. Prima di cadere nel fondo del pozzo dove non c’è più la verità ma solo la definitiva sottomissione alla tirannia della frivolezza.