Il fiato “corto” delle donne

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di Maria Rusolo

” Le donne sono la colonna portante della famiglia”

Ecco qui il commento che appare sulla mia bacheca, in un post tra i centinaia che scrivo per sollecitare un po’ di dibattito costruttivo ed osservare le reazioni dei miei contatti. Una sintesi la mia di quanto venga richiesto alle donne oggi, espressa forse anche con un velo di pessimismo cosmico per la giornata appena trascorsa.

Accade spesso che il fesso di turno non capisca nulla ed elabori un concetto a caso, ma il genio stavolta ha sciorinato la banalità più evidente e comune della nostra cultura patriarcale, come uno dei sette nani che voglia all’improvviso compiere una forma di difesa ad oltranza della povera Biancaneve che pulisce e strofina i pavimenti e che quindi va esaltata in tutta la sua sacrale femminilità. Credetemi avrei operato sulla tua testa quello che in un famoso dipinto di Caravaggio fa Giuditta ad Oloferne. Che Diamine siamo ancora a questi livelli, siamo ancora all’immagine della femmina con il tuppo che cinguetta per casa stirando le camicie di marito e figli.

A volte ho la sensazione che più di analisi complesse anche i politici, per rendersi conto della gravità della situazione dovrebbero camminare nelle strade delle nostre città, farsi un giro nei social, non con intenti autocelebrativi, partecipare ad una qualsiasi riunione professionale o associativa ed avrebbero il polso di quello che accade. Confesso di essere una piuttosto attenta alla forma, ma non in maniera pesante, quanto con la consapevolezza che il linguaggio è il primo step attraverso cui si palesa nel mondo esterno il reale pensiero umano. Non posso non ricordare che è di questi giorni il commento di una insegnante di un noto liceo romano nei confronti di una adolescente, che per un banale balletto in un’ora di buco a scuola, in presenza di una maglietta che lasciava scoperto la pancia , si è sentita etichettare come pronta a raggiungere compagne di sventura ” sulla Salaria”.

La cosa che più mi ha lasciata sgomenta è che il dibattito non ha avuto ad oggetto il comportamento della professoressa, quanto la necessaria regola estetica che i ragazzi dovrebbero avere nelle aule scolastiche. Ora mi pongo una domanda, se fosse stato un maschietto ad indossare un jeans calato con una maglietta che lasciava trapelare i muscoli scolpiti, la signora avrebbe fatto lo stesso commento, avrebbe avuto lo stesso atteggiamento, avrebbe sciorinato i luoghi comuni per cui le donne devono indossare gonne a scacchi e scarpe basse e maglioni informi, per non ” provocare” il maschio ormonato?

Siamo in pieno Medioevo, con la inquisizione che gira nelle strade alla ricerca delle donne libere per poterne fare streghe da ardere in pubblica piazza. Siamo alla Lettera Scarlatta, da indossare quando deviando da quello che ci viene imposto decidiamo non sia mai, di tradire un compagno, o di perderci nel piacere di un amplesso senza prospettiva matrimoniale o procreativa. Altro che evoluzione sociale e culturale. Confesso che in realtà molti maschi non ci sopportano, sono costretti a tollerarci più per pulirsi la coscienza che per altro, lo sento sulla mia pelle.

Ti alzi per intervenire in un Congresso dopo un uomo, e tutti si aspettano che tu non sia all’altezza, prestano attenzione dopo qualche minuto, restano sorpresi da quello che dici, come se fosse una cosa incomprensibile. E mentre al maschio, al capo arrivano le pacche sulle spalle, alle donne arrivano anche i complimenti e gli applausi ma con il freno tirato, perché ci vivono come una minaccia al potere, alla loro mascolinità tossica. Ed allora certo che si arriva con il fiato corto a fine giornata, stanche e sopraffatte dall’avere sempre il fucile spianato e pronte a deviare i colpi, certo che ci si mostra anche aggressive, nascondendo ogni cedimento o fragilità, ogni lacrima di disappunto e di frustrazione.

Mi chiedo e vi chiedo è giusto tutto questo e quante battaglie ancora ci sono da fare? Tante, troppe, e si parte anche non rinunciando ad essere quello che vogliamo, ad indossare quello che desideriamo, a mostrarci senza paura del pregiudizio, a viso aperto, magnifiche nel nostro essere sempre e comunque esseri umani e non ancelle.

 

“Il test del coraggio arriva quando siamo in minoranza. Il test di tolleranza arriva quando siamo nella maggioranza”

 

Nasco in un piccolo paese della provincia di Avellino, con il sogno di girare il mondo e di fare la giornalista, sullo stile della Fallaci. Completamente immersa, sin dalla più tenera età nei libri e nella musica, ma mai musona o distante dagli altri. Sempre con una battaglia da combattere, sempre con l’insolenza nella risposta verso gli adulti o verso chi in qualche modo pensasse che le regole non potessero essere afferrate tra le dita e cambiate. Ho sempre avuto la Provincia nel cuore, ma l’ho sempre vissuta come un limite, una sorta di casa delle bambole troppo stretta, per chi non voleva conformarsi a quello che gli altri avevano già deciso io fossi o facessi. Decido di frequentare Giurisprudenza, con il sogno della Magistratura, invaghita del mito di Mani Pulite, ma la nostra terra è troppo complicata, per non imparare presto ad essere flessibile anche con i sogni e le speranze, per cui divento avvocato con una specializzazione in diritto del lavoro prima e diritto di famiglia poi, ma anomala anche nella professione e mal amalgamata alla casta degli avvocati della mia città. La politica e la cultura , i cuori pulsanti della mia esistenza, perché in un mondo che gira al contrario non posso rinunciare a dire la mia e a piantare semi di bellezza. Scrivo per diletto e per bisogno, con la speranza che prima o poi quei semi possano diventare alberi.