Il Supremo tribunale europeo

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Ormai, in tutti gli ambiti, anche quelli professionali, si tende a censurare il popolo napoletano (ma non tutto, perché esiste una sparuta minoranza che parteggia per il nemico) per l’atteggiamento avuto sabato sera durante la finale di Champions League.

Nella migliore delle ipotesi, il tentativo è quello di ascrivere a un sentimento di invidia le manifestazioni di giubilo registrate in tutta la città, dalla collina fino alle scogliere di Mergellina passando per i vicoli del centro storico e della Sanità, per la dipartita delle vane speranze bianconere, trasformatosi fin troppo presto in cocente disillusione, nelle lontane terre gallesi.

Ora, per amor della verità, vale la pena ribadire cose quasi ovvie tanto da apparire quasi banali.

L’invidia di cui sopra c’entra come un fan sfegatato degli Iron Maiden al concerto di Anna Tatangelo.

Al di là del folklore e lasciando stare le ragioni storico-politico-geografiche che richiederebbero un trattato enciclopedico piuttosto che un post su facebook, Cardiff – come Monaco lo scorso anno, Berlino due anni fa, etc. etc – è stato il nostro tribunale internazionale, la nostra Norimberga calcistica. Qui, non si tratta di rosicare ma di pretendere Giustizia che solo una Corte internazionale, suprema e inappellabile come la Champions, ci può concedere.

Perché non sono soltanto i Mazzoleni, i Rizzoli, i Valeri ma è proprio tutto l’apparato di prepotenza bianconero a risultare più che intollerabile.

Perché Pechino, il fallo su Albiol e il tuffo di Cuadrado nella stessa azione non si dimenticano facilmente, così come le gomitate di Chiellini che restano impunite, le provocazioni di Bonucci, le bollette di Buffon, la stampa che paragona Pjanic a Modric (chi lo ha detto dovrebbe vergognarsi in piazza), o ritiene Dybala più forte di Messi (chi lo ha detto o è affatto da macroscopica incompetenza o è in assoluta malafede), le visite mediche effettuate di nascosto dal campione che perde tutte le finali.

Perché loro ci tengono tanto alle “coppette” tanto da conquistarle senza farsi troppi scrupoli.

Perché, in tutti questi anni, siamo stati i soli a strappargli qualche “coppetta”.

Perché, una sola volta, anche se nella preistoria, ci siamo incontrati in Europa e li abbiamo eliminati (ndr: Renica al 119′).

Perché “lavali col fuoco” è pensiero da nazistoidi per i quali non basterebbe neppure una moderna Norimberga.

Perché se avessimo voluto semplicemente vincere (peraltro loro solo in Italia dominano mentre in Europa sono i più grandi perdenti di successo, vantando una poco invidiabile collezione di finali perse), avremmo scelto di tifare Real o Barcellona trovando molte più ragioni di affinità con gli spagnoli rispetto a quelle che i campani pretendono di vantare con la seconda squadra di Torino.

Perché, in definitiva, la finale di Cardiff non è stata la nostra vendetta meschina, bensì la loro inesorabile nemesi.

Gianluca Spera, classe 1978. Di professione avvocato da cui trae infinita ispirazione. Scrittore per vocazione e istinto di conservazione. I suoi racconti “Nella tana del topo” e “L’ultima notte dell’anno” sono stati premiati nell’ambito del concorso “Arianna Ziccardi”. Il racconto “Nel ventre del potere” è stato pubblicato all’interno dell’antologia noir “Rosso perfetto-nero perfetto” (edita da Ippiter Edizioni). Autore del romanzo "Delitto di una notte di mezza estate" (Ad est dell'equatore)" Napoletano per affinità, elezione e adozione. Crede che le parole siano l’ultimo baluardo a difesa della libertà e dei diritti. «L'italiano non è l'italiano: è il ragionare», insegnava Sciascia. E’ giunta l’ora di recuperare linguaggio e ingegno. Prima di cadere nel fondo del pozzo dove non c’è più la verità ma solo la definitiva sottomissione alla tirannia della frivolezza.