Io sto con questo qui. Io sto con Prometeo®.

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Sto col più forte tra gli umani tra quanti ho visto in quarant’anni ininterrotti di tempio. Il più forte tra i nove azzurri, e ho gridato Tira la bomba, e ho i 104 fotogrammi di Cavani impressi a fuoco. Ma il più forte tra i nove, pochi cazzi. Capace di essere nueve falso più di Giuda creando uno spazio dove non avrebbe dovuto esserci nessuno spazio, alla Osvaldo Soriano. Capace di essere nueve verdadero, quello con stoccata da cannoniere e tap-in da opportunista.
Un profeta, un poeta del gioco. Come Prometeo: dispensa a piene mani, con Amore e generosità di un eroe culturale, con filantropia, appunto, prometeica, giocate di incredibile difficoltà, siderale resa estetica, geniale funzionalità, paurosa efficacia: e l’efficacia a volte sfugge allo spettatore meno avvertito, rapito dalla mera Bellezza. «L’uomo che mostra cortesemente la via a un viandante smarrito, fa come se dal suo lume accendesse un altro lume. La sua fiaccola non gli risplende meno, dopo che ha acceso quella dell’altro».
È così: fa luce agli altri, senza smettere di brillare in quanto Pipita. Questo qui è Gonzalo Higuain. Questo qui ce lo stanno buttando fuori. Il baco del sistema è lui. L’antivirus l’hanno trovato e somministrato.
Non posso fare niente, una minchia, una min-chia, come disse Pulvirenti dopo quel Catania-Rube. Niente contro un cancro in bianco e nero capace di diffrangersi in sei ominidi a scattare e ad accerchiare un arbitro per spaventarlo, intimidirlo, delegittimarlo. Niente contro una fuga di notizie programmata, perché così il giorno prima “si predispone il clima”. Niente. “La verità è che i sogni sono immagini riflesse / sono specchio d’acqua immobile e svaniscono / provandoli a toccare” Ma un sogno io ce l’ho. No, non lo scudetto, quello è andato, ce lo ha detto lui, domenica. No. Vorrei vedere la mia terra, da Castellammare a Castelvolturno, passando per l’emiciclo vesuviano, Cercola compresa, liberata dai gangli fognari rubentini. Chissà. Ah. Il pippone a terra è quel tal Bonucci, quello che chiava le capate in bocca.

Enrico Ariemma Docente di Lingua e Letteratura latina presso l’Università di Salerno. Uomo di inverni miti e di estati di passione, malato di Napoli e di filologia, in quale ordine non saprebbe dire. Chirurgo di testi per vocazione antica e per impegno accademico, prova con francescana ostinazione a educare alla Bellezza, dinanzi ai cui inattesi impercettibili cristalli si stupisce e si commuove. Per questo detesta con pervicace ostinazione il brutto, il crasso, il banale, il volgare. Stanziale da quarant’anni al San Paolo, legge, scrive, insegna, cavalca una moto, inforca gli sci, va per mare, vagabonda per mostre, viaggia per le leghe del pensiero e per le strade del mondo. Ama.