L’involuzione della politica

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di Maria Rusolo

“La Costituzione è il fondamento della Repubblica. Se cade dal cuore del popolo, se non è rispettata dalle autorità politiche, se non è difesa dal governo e dal Parlamento, se è manomessa dai partiti verrà a mancare il terreno sodo sul quale sono fabbricate le nostre istituzioni e ancorate le nostre libertà.“

Una volta si seguivano le discussioni parlamentari come se si trattasse della Prima della Scala, tutti in religioso silenzio dinanzi al televisore, grandi e piccoli e guai se volava un fiato. Bisognava ascoltare, bisognava capire che cosa accadesse nel Paese, ed essere consapevoli delle scelte che quegli uomini e quelle donne erano pronti a prendere dinanzi ad una comunità.

Anche al cospetto degli scandali più seri, c’era il senso della misura, gli interventi erano precisi, le parole calcolate, nessuna sbavatura concessa, nessuna battuta volgarotta, o sopra le righe, nessun immagine fuori posto. Certo mi dirà qualcuno quella politica non era perfetta ed oggi paghiamo lo scotto di quegli anni di costruzione di un sistema chiuso e di potere, ma e qui il ma è un obbligo, c’era il senso preciso delle istituzioni, di una classe dirigente, che doveva ricostruire il Paese, il tessuto sociale e doveva spingere gli individui a migliorare la propria condizione personale come strumento per migliorare e far crescere una comunità più allargata.

Guardando alcune scene del dibattito al Senato sulla autorizzazione a procedere per Salvini, ieri ho pensato alle parole pronunciate da Aldo Moro, in un’altra occasione. Era il 1977, infuriava la polemica ed il dibattito sul famigerato caso Lockeed, ed il grande statista pronunciava in aula delle parole che dovrebbero essere scolpite nella pietra : “La nostra responsabilità è disporre, sia pure in modo non definitivo, della sorte di uomini, dell’onorabilità e della libertà delle persone, come accade appunto ai giudici il cui penetrante potere viene dalla legge appunto temperato e circondato di cautele. Alto e difficile compito è dunque il nostro, specie in presenza della diffidenza, del malcontento, dell’ostilità che, bisogna riconoscerlo, predominano oggi nell’ opinione pubblica […] 

C’è un rischio di involuzione verso una giustizia politica”. Moro era preoccupato di non cedere alla furia della folla che ricercava corpi da ” bruciare” in pubblica piazza, era ovviamente preoccupato da uomo che riusciva a leggere gli eventi ed il futuro di una deriva populista, di analoga fattura di quella che aveva poi condotto al ventennio Fascista, ma allora come oggi il suo alto senso della politica come dovere non fu colto a pieno, ed i disastri sono sotto gli occhi di tutti.

Dal lancio di monetine degli anni di mani pulite ad oggi, tutto ha acquisito una dimensione prosaica e senza visione, senza penetrazione dei fenomeni, senza conoscenza dei fatti e delle conseguenze. Si agisce in nome di un governo in maniera ignobile e poi si fa allo scarico delle responsabilità, mentre tutto è un gioco su posizionamenti e su collocazioni.

Davvero qualcuno ha pensato che l’autorizzazione a procedere sia stata concessa perché convinti che sia mostruoso lasciare delle persone in mare? No, non credo, la scelta è frutto del più bieco opportunismo, che lascia immutati i decreti sicurezza e finanzia i lager in Libia, senza alcun pudore, che lascia che i centri di accoglienza esplodano e non prende minimamente in considerazione la necessità di una battaglia diretta a modificare il Trattato di Dublino, che proclama gli stati di emergenza perchè non sa far fronte all’ordinario senza comprimere i diritti dei cittadini.

Una classe politica che ha come unico scopo quello di analizzare la curva dei sondaggi e di abbattere il nemico, che non è più avversario, nelle aule di giustizia e non sui programmi politici di crescita, efficienza e sviluppo. Delle maschere di una Commedia dell’arte con un canovaccio scritto male, preda dei bassi istinti , delle pulsioni che non riesce a guardare oltre il proprio piccolo interesse personale. E tutto questo baillame ha una precisa finalità quella di distrarre le masse dalla nave in tempesta che senza capitano non riesce a raggiungere le coste per mettersi in salvo.

“Non è lo stato che rende vitali i suoi organi; è l’uomo che li vivifica, l’uomo che li mortifica, l’uomo singolo e organizzato, la persona reale effettiva, non l’ente astratto che si usa chiamare stato.“

Nasco in un piccolo paese della provincia di Avellino, con il sogno di girare il mondo e di fare la giornalista, sullo stile della Fallaci. Completamente immersa, sin dalla più tenera età nei libri e nella musica, ma mai musona o distante dagli altri. Sempre con una battaglia da combattere, sempre con l’insolenza nella risposta verso gli adulti o verso chi in qualche modo pensasse che le regole non potessero essere afferrate tra le dita e cambiate. Ho sempre avuto la Provincia nel cuore, ma l’ho sempre vissuta come un limite, una sorta di casa delle bambole troppo stretta, per chi non voleva conformarsi a quello che gli altri avevano già deciso io fossi o facessi. Decido di frequentare Giurisprudenza, con il sogno della Magistratura, invaghita del mito di Mani Pulite, ma la nostra terra è troppo complicata, per non imparare presto ad essere flessibile anche con i sogni e le speranze, per cui divento avvocato con una specializzazione in diritto del lavoro prima e diritto di famiglia poi, ma anomala anche nella professione e mal amalgamata alla casta degli avvocati della mia città. La politica e la cultura , i cuori pulsanti della mia esistenza, perché in un mondo che gira al contrario non posso rinunciare a dire la mia e a piantare semi di bellezza. Scrivo per diletto e per bisogno, con la speranza che prima o poi quei semi possano diventare alberi.