L’unica ossessione che vogliono tutti: l’”amore”

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di Maria Rusolo

Ti odio e ti amo.
Forse mi chiedi come io faccia.
Non lo so, ma sento che ciò accade, e ne sono tormentato.

C’eravamo tanto amati, non ricordo come fu, c’eravamo poi lasciati, ma una sera c’incontrammo…Ho questa canzone in testa da un po’ di giorni, mi capita alle volte, che dal mio inconscio emergano immagini o parole che all’apparenza sembrano senza senso e che poi invece se aspetto assumono un loro significato preciso.

In effetti, la canzone ha un suo perché se mi soffermo per un attimo a pensare a che cosa accade dinanzi ad un amore finito, ad un amore che termina perché avvelenato da atteggiamenti e da un quotidiano silenzio o in alcuni casi da frasi tossiche, cariche di gocce di veleno che entrano nella pelle di chi le subisce ogni santo giorno per anni, a volte senza neanche rifletterci o soffermarsi su quanto accade, semplicemente perché convinti che non ci sia altro oltre quel tetto di cristallo. Le parole hanno la stessa forza di un pugno in faccia e lasciano lividi invisibili che nessuno può lenire, non esistono pomate che cancellino il colore viola dalla pelle, entrano sotto traccia e spaccano il cuore e la mente. Mortificano, cancellano le aspettative, annullano il corpo e le speranze, sono il mezzo più subdolo attraverso cui realizzare l’annullamento dell’altro, non c’è amore che tenga, non c’è famiglia che tenga, non c’è casa che possa resistere, perché le fondamenta vengono divorate senza alcuna pietà e compassione.

Bisogna scappare, non lasciarsi travolgere dall’abusante, non bisogna lasciarsi convincere che è tutto lì il mondo, che non c’è altro, che non si merita altro, che l’amplesso frettoloso sia la regola, che la cena e la cura siano diritti, che il capo chino sia quanto necessario a disinnescare ogni possibile ira funesta di chi ci vive accanto. Un rapporto di questo tipo non è una relazione sana, è come vivere con lord Voldemort ed avere il ruolo di Codaliscia, un Peter Minus che non ha voglia di affrancarsi, per paura, per vigliaccheria, perché quello è il ruolo che qualcun altro ha costruito, che la società ha interiorizzato, ha imposto. Non esistono giustificazioni, non esistono unguenti o formule magiche, bisogna riprendersi il diritto alla vita e scappare quanto più lontano è possibile. Non guardarsi indietro, le catene si rompono se si ha il coraggio di farlo, dedicarsi alla propria crescita personale e non essere ” donne che amano troppo”.

Di solito chi vive questa condizione di gabbia emotiva, l’ha vissuta nella famiglia di origine o ha visto comportamenti che ripete, chi subisce ha conosciuto solo quell’unico modo di viversi e di vivere. Nello scrivere non vorrei banalizzare, non vorrei mai che qualcuno pensasse che semplifico, che non comprendo il retaggio culturale e sociale, la mancanza di indipendenza, e la presenza di una molteplicità di fattori o, che non prendessi in esame, che ogni situazione ha una specifica peculiarità, ma ho vissuto sulla mia pelle una condizione simile, nonostante avessi la libertà anche economica e culturale di scegliere altro e di salvarmi.

Non riuscivo a farlo, ero imprigionata dalla convinzione di non essere abbastanza, di non aver diritto a sentire il mio corpo, di dovere dare piacere senza riceverne, di essere un oggetto da vetrina, per non sentire, una adolescente problematica che aveva avuto come unico modello maschile di riferimento l’uomo che insinua il dubbio che tu non abbia abbastanza bellezza o intelligenza, che tu debba nascondere il corpo, per non attirare attenzione, che tu debba sacrificare la carriera, perché certi mestieri non sono per donne. Sia ben chiaro nulla di esplicito, piccole frasi, sottintesi, atteggiamenti, spalle che si alzano e silenzi prolungati.

Anche la sigaretta tra le labbra diventava volgare ed allora in quel momento chiunque mi si avvicinava mi sembrava salvezza, ed ero lì come un cagnolino scodinzolante pronta ad appagare senza essere appagata, ad essere sotto un piedistallo che non mi sarebbe mai appartenuto. Poi un giorno, ero in una casa che sarebbe diventata la mia, ed io che non avevo mai fatto le faccende di casa, pulivo, e pulivo, e pulivo fino a farmi sanguinare le mani, ho cominciato a piangere ed ho avuto il peggiore attacco di panico della mia vita, sono uscita all’aria aperta per provare a calmarmi ed ho deciso tra le lacrime che quella gabbia non era il posto per me, che non ero felice, che volevo sentire il piacere sottile della solitudine o di camminare per strada con il desiderio di essere guardata per come ero e non per come gli altri mi avevano immaginato.

Ho aperto la porta e non sono più tornata lì. Non ho mai più aperto quella scatola, non ho più pensato al passato e mi sono ” ricostruita” come si fa con i lego. Ricostruitevi, per quanto faticoso sia, fatelo, comunque vada sarà valsa la pena.

 L’unica ossessione che vogliono tutti: l’”amore”. Cosa crede, la gente, che basti innamorarsi per sentirsi completi? La platonica unione delle anime? Io la penso diversamente. Io credo che tu sia completo prima di cominciare. E l’amore ti spezza. Tu sei intero, e poi ti apri in due.

 

Nasco in un piccolo paese della provincia di Avellino, con il sogno di girare il mondo e di fare la giornalista, sullo stile della Fallaci. Completamente immersa, sin dalla più tenera età nei libri e nella musica, ma mai musona o distante dagli altri. Sempre con una battaglia da combattere, sempre con l’insolenza nella risposta verso gli adulti o verso chi in qualche modo pensasse che le regole non potessero essere afferrate tra le dita e cambiate. Ho sempre avuto la Provincia nel cuore, ma l’ho sempre vissuta come un limite, una sorta di casa delle bambole troppo stretta, per chi non voleva conformarsi a quello che gli altri avevano già deciso io fossi o facessi. Decido di frequentare Giurisprudenza, con il sogno della Magistratura, invaghita del mito di Mani Pulite, ma la nostra terra è troppo complicata, per non imparare presto ad essere flessibile anche con i sogni e le speranze, per cui divento avvocato con una specializzazione in diritto del lavoro prima e diritto di famiglia poi, ma anomala anche nella professione e mal amalgamata alla casta degli avvocati della mia città. La politica e la cultura , i cuori pulsanti della mia esistenza, perché in un mondo che gira al contrario non posso rinunciare a dire la mia e a piantare semi di bellezza. Scrivo per diletto e per bisogno, con la speranza che prima o poi quei semi possano diventare alberi.