Malika Ayane “Domino” tour 2018: “Siamo fatti di tante tessere che mescolandosi ci rendono sempre diversi”.

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di Ornella Esposito

Intervista alla cantante milanese che sarà in concerto a Napoli con il suo nuovo disco.

Un album elegante, ricco di sfumature, sperimentazioni e pieno di vita quotidiana. Questo è “Domino”, il quinto lavoro di Malika Ayane, prodotto dalla Sugar Music, dato alle stampe il 21 settembre scorso e preceduto in radio dai singoli “Stracciabudella” e Sogni tra i capelli”. Un «pop vintage», come la stessa cantante ha definito il suo disco, registrato interamente a Berlino, che suonerà nei teatri e nei club di tutta Italia (per ogni città c’è il doppio concerto) con arrangiamenti molto diversi tra loro: più attenti alla morbidezza del suono nei teatri, più intimi e ruspanti nei club dove la formazione è ridotta a voce, chitarra e batteria.

Il DomenicaleNews ha intervistato Malika Ayane a pochi giorni dalla sua tappa napoletana, prevista per il 21 Novembre al Teatro Augusteo di Napoli e il 22 Novembre al Duel Beat di Pozzuoli.

Partiamo dalla copertina di “Domino”, tra l’altro un oggetto da collezione. Ci sei tu spezzettata in varie tessere.

«L’idea di fondo è che siamo fatti di tanti pezzi, anche l’integrità è un unicum composto di più parti e non un blocco monolitico. Mescolare le tessere di cui siamo fatti in un modo piuttosto che in un altro ci porta ad essere diversi, a seconda delle circostanze, dei tempi. Tutto ciò richiama il concetto del libero arbitrio e  della relatività».

“Domino” è un album in cui si ascolta un pop sofisticato con venature elettroniche ben congegnate. Ma sembra avere anche molto i crismi della canzone d’autore. Ti ci ritrovi in questa affermazione?

«Si, ma devo dire che è stato del tutto casuale. Anche qui ritorniamo al discorso delle tessere: il disco, così come immaginato con i Jazzanova, avrebbe dovuto prevedere parecchie chitarre per usare molto i riff, ma pezzo dopo pezzo la curiosità ci ha portato verso un utilizzo dell’elettronica diverso da come avevamo previsto all’inizio».

E veniamo proprio al collettivo berlinese Jazzanova, in particolare ad Axel Reinemer e Stefan Leisering con cui avevi già lavorato per il tuo disco precedente. Cosa ti ha intrigato nella collaborazione con musicisti/produttori non italiani?

«I Jazzanova sono tra i più bravi nel rendere moderne sonorità di altri tempi, nel creare suoni vintage con l’utilizzo di macchinari davvero strabilianti. Visto che con Naïf il risultato della nostra collaborazione mi era piaciuto, ho pensato di continuare con loro anche per “Domino”, con il valore aggiunto che, questa volta, non ci siamo estranei l’uno all’altra. Avere già un’intesa ha reso il lavoro più fluido».

I testi, alcuni scritti con Pacifico, giocano un ruolo molto importante, sembrano piccole scene di un film. A “vederle” si ha la sensazione che ti appartengano molto.

«Parlare di se stessi è sempre inevitabile quando si scrive una canzone perché tutto è filtrato dal proprio punto di vista, ma nei testi di “Domino” c’è anche molto di quello che mi raccontano le persone a me più vicine, per esempio gli amici, o di quelle che spio. Sì, perché a me piace molto osservare la gente (ride, ndr). Poi nei testi c’è sicuramente una mia riscoperta della bellezza del quotidiano, che spesso consideriamo banale e ripetitivo, ma di cui ne sottovalutiamo la versatilità».

La tua casa di produzione, la Sugar Music di Caterina Caselli, di cui sei entrata a far parte giovanissima, ti ha visto crescere. Cosa ti porti maggiormente dentro, tra esperienza professionale e umana, dal contatto con la Sugar e quindi con la Caselli?

«Il valore aggiunto è proprio lei. È raro trovare in una casa di produzione indipendente uno spazio ampio di confronto, soprattutto una persona che ti ascolta. La Caselli ha sempre un suo punto di vista su tutto e sostiene la sua posizione, ma se riconosce che l’idea di qualcun’altro è migliore della sua è capace di cambiare strada. Un pregio che pochi hanno».

Tu sei italo-marrocchina e mamma di una ragazza preadolescente, dunque, una figura educante. In questo scenario così complesso in cui la diversità di razza, di cultura, di sesso, sembra essere un limite se non addirittura fonte di razzismo, cosa hai cercato di insegnare a tua figlia su questo tema?

«Intanto l’esempio, che è fondamentale. Poi mi viene da dire: è normale che siamo diversi, siamo 7 miliardi e mezzo sulla terra e non c’è una persona uguale ad un’altra. In un certo senso nasciamo già nella diversità. Come genitore cerco di insegnare a mia figlia ad essere cittadina del mondo e a cercare di dare il meglio di sé, il suo meglio possibile».

 

 

 

 

 

 

 

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