Nè guitti, né figuranti, né miserie di segno opposto

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Intendiamoci, io ho le palle piene delle vagonate di merda spalate su Napoli da chi Napoli non la conosce, siano essi guitti da baraccone a visibilità limitata o figuranti nazionali a risonanza amplificata, gli uni e gli altri accomunati dalla crassa bassezza della loro ignoranza terminale.

Sarebbe salutare, però, vergognarsi anche delle miserie di segno opposto.

Mo’ sta ragazza di Treviso o di Genova, non ho ben capito ma fa lo stesso, riceve in pompa magna una medaglia dal sindaco, perché, non in una sede istituzionale ricoprendo lei un incarico istituzionale, non all’onu, non in una pubblica assemblea, e manco nella riunione di condominio, pare abbia scritto cose, per carità, carine e gradevoli, ma diluite e infognate nella oleografia più triste e mortificante immaginabile. Dice, in sostanza, che Napule non è mica sole e mare, ma è la gente che non ti fa sentire sola, sono i vicoli, è poesia e musica, nientemeno capite, poesia e musica, è l’allegria pure se ci stanno i probbblemi, che qua mica ce lo nascondiamo, però noi simm’e Napule e teniamo sempre questo sorriso chiavato in faccia, che qua si vive col sole in fronte, ma quale camorra.

Io mi metto uno scuorno senza pari. Non delle stronzate che ho letto, che ripropongono una immagine da cartolina che mortifica chi la dipinge, ma del reimpiego penosamente strumentale che ne fa l’istituzione massima cittadina, rettore e tutore di una metropoli, non di Caianiello, lesto a salire sul tram con il solito mirabile timing. “Questo è parlare di Napoli!”. Dio santo dio bonino.

La mia appartenenza, le mie radici, la mia cultura, allignano in una humus sideralmente più complessa di questa superficialità da temino post-vacanze, piccola, ci sei stata bene, e siamo contenti, non c’erano motivi perché tu stessi male.

Il problema è il napoletano permaloso e autoreferenziale, atterrito della rappresentazione macchiettistica o terronizzante con cui viene profilato giù al Nord, che ha bisogno della pischella padana o della (ex?) moglie di Mertens che ogni tanto dicano che no, guardate che qua è un paradiso, certo guidano una chiavica ma vuoi mettere. Però l’altra, quella del Pocho, se viene scippata e dice “ciudad de mierda” quello no, non si può dire. Il mio orgoglio partenopeo, che possiedo a tonnellate ma con l’esercizio permanente e attivo dello spirito critico, non riceve ferite irrimarginabili da queste porcherie così come non si esalta a leggere le amenità della ragazzetta danese o austriaca in Erasmus, perché sono un uomo relativamente provvisto di certezze salde, e basto a me stesso per capire chi sono e dove vivo, non ho bisogno del primo don Raffaè d’accatto che “mi spiega che penso”.

Piuttosto, ma voi lo sapete che a Milano mica ci sta solo la nebbia, che poi quando c’è la nebbia non si vede, ci stanno pure i Navigli, la Pinacoteca di Brera, la biblioteca della Cattolica, Cochi e Renato e stai pure al centro dell’Europa, sindaco Sala, se leggi per favore non una medaglia, ten

Enrico Ariemma Docente di Lingua e Letteratura latina presso l’Università di Salerno. Uomo di inverni miti e di estati di passione, malato di Napoli e di filologia, in quale ordine non saprebbe dire. Chirurgo di testi per vocazione antica e per impegno accademico, prova con francescana ostinazione a educare alla Bellezza, dinanzi ai cui inattesi impercettibili cristalli si stupisce e si commuove. Per questo detesta con pervicace ostinazione il brutto, il crasso, il banale, il volgare. Stanziale da quarant’anni al San Paolo, legge, scrive, insegna, cavalca una moto, inforca gli sci, va per mare, vagabonda per mostre, viaggia per le leghe del pensiero e per le strade del mondo. Ama.