Sabbie mobili

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di Maria Rusolo

“Non si possono attuare grandi riforme sociali se non in clima di libertà, con reale senso di moralità pubblica, in un’economia che si risana e in una struttura statale ferma, agile e responsabile.“

Viene il magone a pensare in quale pantano il nostro Paese sia precipitato in questo momento storico, forse parlerei addirittura di sabbie mobili, dalle quali più cerchiamo di uscire e più sprofondiamo.

Non si tratta di condizioni, per intenderci create dalla pandemia, ma che il covid ha evidentemente portato a galla e reso sempre più eclatanti ed evidenti, chi in passato ha voluto far finta di nulla oggi si vede costretto ad ammetterle, deve farci i conti senza troppa supponenza e con un certo grado si responsabilità. Bella parola ” responsabilità”, che sembra essere assolutamente sconosciuta alla classe dirigente che ci guida da più di vent’anni. Il Paese non regge, non reggono i servizi per i quali paghiamo fior fior di quattrini di tasse e che dovrebbero essere un dato quesito su cui non si debba neanche discutere: istruzione, salute, servizi sociali, cultura.

Ci affidiamo alla Divina Provvidenza, mentre ogni giorno si sciorinano i dati della decrescita felice di una comunità che rinnega il passato, vive in balia del presente ed ignora il futuro. L’esasperazione resta muta o si trasforma in invettiva social che nessuna incidenza pratica finisce per avere nella realtà. Al popolo si gettano le briciole mentre altrove si consumano i banchetti, e lo scenario è quello raccontato da Scurati nel libro che gli è valso il premio Strega, un popolo di straccioni che torna dalla guerra arrabbiato ed abbandonato che riempie le strade ed a cui nessuno presta attenzione.

Ci aspettano tempi duri? No, amici miei, siamo già completamente immersi in tempi senza luce e senza speranza, in cui non c’è che la flagrante evidenza di una classe di mediocri e narcisisti al potere, che invadono con le loro grigie fattezze le tv ed i giornali, e che ci ripetono costantemente che insomma, è colpa nostra se tutto va a rotoli e che loro con quello che hanno fanno miracoli e che meglio di così non si può.

Ed intanto la scuola se ne va a benedire, tra una prova a risposta multipla ed una lezione a distanza, la cultura diventa appannaggio delle classi benestanti, e si rimane in attesa per venti ore in un pronto soccorso, pregando che qualcuno possa spiegarci di che morte dobbiamo morire. Il problema è che tutto assume una dimensione quasi ” moralistica” e non politica, tutto diviene una lapidazione in pubblica piazza, ma senza una reale rivoluzione sociale, senza la consapevolezza che il cambiamento non è una cosa da auspicare ma da realizzare non delegando, ma partecipando.

E quindi diventa quanto mai attuale il richiamo ai Liberi e forti che scendano finalmente in campo per l’affermazione dei diritti, uscendo dal recinto delle pecore che si accontentano dell’erba e si fanno guidare dal Pastore di turno con in mano un bastone. A questo punto chiudo il mio pippone settimanale ricordandovi un stralcio di un appello bellissimo e quanto mai attuale, sperando che sia possibile recuperare dal passato quello spirito di lotta e di sacrificio che ci aveva reso un grande Paese, e che tratteggiava le basi per un futuro di crescita emotiva e civile. Alla prossima.

“A tutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini superiori della Patria, senza pregiudizi né preconcetti, facciamo appello perché uniti insieme propugnano nella loro interezza gli ideali di giustizia e libertà. Ad uno Stato accentratore tendente a limitare e regolare ogni potere organico e ogni attività civica e individuale, vogliamo sul terreno costituzionale sostituire uno Stato veramente popolare, che riconosca i limiti della sua attività, che rispetti i nuclei e gli organismi naturali – la famiglia, le classi, i Comuni – che rispetti la personalità individuale e incoraggi le iniziative private. E perché lo Stato sia la più sincera espressione del volere popolare, domandiamo la riforma dell’Istituto Parlamentare sulla base della rappresentanza proporzionale, non escluso il voto delle donne, e il Senato elettivo, come rappresentanza direttiva degli organismi nazionali, accademici, amministrativi e sindacali: vogliamo la riforma della burocrazia e degli ordinamenti giudiziari e la semplificazione della legislazione, invochiamo il riconoscimento giuridico delle classi, l’autonomia comunale, la riforma degli Enti Provinciali e il più largo decentramento nelle unità regionali.”

Nasco in un piccolo paese della provincia di Avellino, con il sogno di girare il mondo e di fare la giornalista, sullo stile della Fallaci. Completamente immersa, sin dalla più tenera età nei libri e nella musica, ma mai musona o distante dagli altri. Sempre con una battaglia da combattere, sempre con l’insolenza nella risposta verso gli adulti o verso chi in qualche modo pensasse che le regole non potessero essere afferrate tra le dita e cambiate. Ho sempre avuto la Provincia nel cuore, ma l’ho sempre vissuta come un limite, una sorta di casa delle bambole troppo stretta, per chi non voleva conformarsi a quello che gli altri avevano già deciso io fossi o facessi. Decido di frequentare Giurisprudenza, con il sogno della Magistratura, invaghita del mito di Mani Pulite, ma la nostra terra è troppo complicata, per non imparare presto ad essere flessibile anche con i sogni e le speranze, per cui divento avvocato con una specializzazione in diritto del lavoro prima e diritto di famiglia poi, ma anomala anche nella professione e mal amalgamata alla casta degli avvocati della mia città. La politica e la cultura , i cuori pulsanti della mia esistenza, perché in un mondo che gira al contrario non posso rinunciare a dire la mia e a piantare semi di bellezza. Scrivo per diletto e per bisogno, con la speranza che prima o poi quei semi possano diventare alberi.