Psicologia e tecnologia. LIAR l’app che supporta l’autismo: intervista al dott. Angelo Rega

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Liar è la nuova app sviluppata dal dott. Angelo Rega – psicologo e psicoterapeuta presso il centro di riabilitazione Neapolisanit dipartimento di autismo e psicosi infantili – che ha un’enorme obiettivo: è stata pensata per facilitare la comunicazione dei bambini affetti da autismo e migliorare i loro comportamenti. 

Abbiamo incontrato il dott. Rega che  ci ha esaurientemente spiegato come funziona la sua idea.

Partiamo da una domanda apparentemente semplice. Cos’è l’autismo?

L’autismo è un disordine dello sviluppo del bambino, ed è una patologia che si conosce da più di 60 anni, tuttora difficile da diagnosticare. Ci sono molte incertezze spesso su come classificarla. Si parla oggi nel manuale Statistico e diagnostico dei disturbi mentali della V edizione (2014) di disturbi dello spettro autistico perché non possiamo parlare di un solo autismo ma di autismi, disturbi che appartengono a questa classificazione generale che però hanno diversa intensità e gravità.

In generale i sintomi compaiono nei primi tre anni di vita e i primi segnali sono una difficoltà nel linguaggio, nella comunicazione, nel comprendere gli stati emotivi.

Com’è nata l’idea di sviluppare un’app per bambini autistici?

L’idea di sviluppare un’applicazione per bambini autistici è partita da una mia considerazione di ricerca scientifica. Si è parlato moltissimo di tecnologia in questi anni e molti pedagogisti si sono preoccupati di quanto i tablet o smartphone fossero utili o meno per i bambini. Allora sulla scorta di analisi e considerazioni da me fatte sono arrivato alla conclusione che la tecnologia possa essere estremamente utile in particolari contesti di disabilità e in particolare per quei soggetti che hanno delle difficoltà cognitive. Da  questa considerazione è nata l’idea di fare una ricerca scientifica per vedere come la tecnologia potesse integrarsi con le pratiche riabilitative.

Su quale idea si fonda quest’applicazione?

autismoUna delle caratteristiche principali di un soggetto autistico grave è che non comunica, innalzando una barriera tra sé e gli altri. La riabilitazione consiste nell’insegnare al bambino delle strategie alternative alla comunicazione. Una valida alternativa è la comunicazione per immagini, attraverso una procedura definita PECS (picture exchange communication system – comunicazione attraverso lo scambio di immagini) si insegna al bambino a comunicare mettendo insieme  tutta una serie di immagini. Bambini e terapisti hanno un librone con tante figurine e ognuna di queste rappresenta un soggetto, un verbo e un oggetto.

Ho ritenuto opportuno che la tecnologia potesse essere una cosa fondamentale in un processo di comunicazione perché una cosa che possono fare i tablet è quello di manipolare degli stimoli multimediali e quindi l’idea è stata quella di avere un sintetizzatore vocale che potesse trasformare tutte queste immagini in parlato.

Il bambino mette le immagini in fila e il sintetizzatore vocale riconosce le immagini e le trasforma in una frase. Il vantaggio è molteplice. Innanzitutto non bisogna più avere sempre a portata di mano il librone delle immagini ma risulta anche superflua la presenza di un operatore o un genitore che conosce questa comunicazione. Le immagini vengono convertite naturalmente in testo comprensibile a tutti.

Questo è uno degli aspetti più importanti della comunicazione. Ma ce n’è un’altra.

L’applicazione permette di rendere interattivi gli oggetti che sono all’interno di una stanza. Mettendo dei sensori molti piccoli all’interno degli oggetti presenti nella stanza, il bambino può esplorare con il tablet i giochi che gli sono intorno. Sullo schermo appaiono le attività che si possono fare con quell’oggetto.

Degli studi scientifici hanno ritenuto infatti che la capacità di comunicare e quindi di dire quello che il bambino vuole fare, riduce tutti i comportamenti problematici del bambino autistico

Qual è il vostro obiettivo?

Quello a cui noi vogliamo arrivare come ricerca è fare in modo che questi supporti tecnologici possano essere utili alla comunicazione per il bambino e alla riduzione di comportamenti autolesionistici.

Perché non è stato fatto finora?

Fino ad oggi esistevano degli oggetti che potevano permettere di comunicare ma non erano specifici per l’autismo. Fondamentalmente si trattava di tecnologie mutuate dalla SLA. Queste tecnologie però prevedevano che il soggetto avesse una buona capacità cognitiva. Nessuno li aveva pensati proprio per i soggetti autistici e per la loro riabilitazione. Ricalchiamo un procedimento specifico della riabilitazione.

Mi piace definirle “tecnologie sartoriali” perché cucite per uno specifico intervento.

E’ possibile seguire gli approfondimenti e i lavori del Dott. Rega sul suo sito internet studiopsicologia.napoli.it

Simona Barra nasce a San Giorgio a Cremano 22 anni fa. Ha studiato al liceo classico Garibaldi di Napoli e ora frequenta la facoltà di Giurisprudenza presso la Federico II. Appassionata di cinema, musica, libri e sport ha iniziato quest'anno la collaborazione con il Domenicale News.