Un giornalista perbene

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di Gianluca Spera

Sembra quasi un segno del destino la scomparsa di Luigi Necco avvenuta all’indomani del pareggio del Napoli contro l’Inter che ha affievolito, se non compromesso, per la squadra azzurra le possibilità di vincere il campionato dopo ventotto anni. Necco, nell’immaginario collettivo, resterà per sempre il cantore dell’epoca maradoniana, colui che sapeva fondere il linguaggio nazional-popolare con un’ironia tipicamente partenopea e un’invidiabile preparazione culturale.

Eppure, Luigi Necco ha rappresentato molto altro e gli si farebbe una scortesia postuma a ricordarlo solo per i suoi siparietti a 90° minuto circondato sempre da gruppetti chiassosi di tifosi o per le polemiche a distanza con il collega milanese e/o torinese di turno. “Milano chiama, Napoli risponde” – che sembra quasi il titolo di un poliziesco degli anni ’70 – è una delle tante espressioni simpatiche da lui coniate che hanno avuto il pregio di rinnovare la pigra ritualità delle cronache sportive.

Necco, tuttavia, è stato un giornalista di razza che ha conosciuto anche il piombo della camorra (venne gambizzato all’uscita di un ristorante a Mercogliano, in provincia di Avellino, probabilmente per un’inchiesta scomoda che abbracciava il calcioscommesse e la gestione dei fondi del post terremoto in Irpinia), un intellettuale con la passione per l’archeologia cui ha dedicato anima e corpo andando in giro per l’Europa alla ricerca del leggendario Tesoro di Priamo (vicenda raccontata poi nel libro Giallo di Troia edito da Pironti).

Ha raccontato la sua città con garbo, senza folklore, tentando di andare oltre gli stereotipi partenopei e gli scenari rassicuranti. Ne è stato ambasciatore intelligente, scansando l’oleografia e le scorciatoie narrative. Si ricorda anche una breve parentesi politica come consigliere comunale ma la sua immagine resterà indissolubilmente legata al calcio.

Qualche mese fa, nel corso di una presentazione alla Feltrinelli di piazza dei Martiri, gli venne rivolta la fatidica domanda: è questo l’anno buono per il Napoli?

E lui, con quell’atteggiamento in apparenza sornione, allargando sul volto un sorriso sardonico che praticamente equivaleva già a una risposta, osservò in maniera laconica: può essere, ma dobbiamo augurarci che non venga mai un raffreddore ai titolari perché ‘quello là’ non compra più nessuno. S’è dimostrato profetico più che mai, visto e considerato che il mercato di gennaio è stato piuttosto avaro per il Napoli.

L’8 maggio avrebbe compiuto 84 anni, un paio di settimane prima della fine del campionato. Forse avrebbe fatto in tempo a festeggiare anche il terzo scudetto o, più probabilmente, con la sua consueta risata, avrebbe trovato una spiegazione logica all’esito (infausto) della stagione calcistica. D’altronde, per innescare una polemica, a lui bastava un sorriso.

Gianluca Spera, classe 1978. Di professione avvocato da cui trae infinita ispirazione. Scrittore per vocazione e istinto di conservazione. I suoi racconti “Nella tana del topo” e “L’ultima notte dell’anno” sono stati premiati nell’ambito del concorso “Arianna Ziccardi”. Il racconto “Nel ventre del potere” è stato pubblicato all’interno dell’antologia noir “Rosso perfetto-nero perfetto” (edita da Ippiter Edizioni). Autore del romanzo "Delitto di una notte di mezza estate" (Ad est dell'equatore)" Napoletano per affinità, elezione e adozione. Crede che le parole siano l’ultimo baluardo a difesa della libertà e dei diritti. «L'italiano non è l'italiano: è il ragionare», insegnava Sciascia. E’ giunta l’ora di recuperare linguaggio e ingegno. Prima di cadere nel fondo del pozzo dove non c’è più la verità ma solo la definitiva sottomissione alla tirannia della frivolezza.