9.5.1978

Condividi su

La storia italiana assomiglia alla trama di un romanzo noir, in cui complotti, depistaggi, delitti irrisolti, crimini che si sommano ai delitti scandiscono una trama che sembra la creazione di una mente geniale e perversa. Invece, non solo i fatti e i personaggi non sono immaginari ma si innestano in un contesto autenticamente reale e fatto di una rete inespugnabile di solide connivenze. Il 9 maggio 1978 è l’equivalente del 22 novembre 1963 americano. La morte di Aldo Moro come quella di John Kennedy è ancora avvolta dal mistero, nonostante le ricostruzioni postume, le sentenze, le versioni di comodo affidate alla storiografia ufficiale. Le Brigate Rosse come Lee Harvey Oswald danno l’impressione di non fornire il quadro completo delle responsabilità o di non esaurire tutti i livelli coinvolti.

Si ha sempre la sensazione, e a volte anche il fondato sospetto, che ci sia qualcosa di losco che non è emerso, qualcosa di indicibile che non può essere rivelato per interessi superiori, ragioni di Stato o addirittura per questioni “diplomatiche” che chiamano in causa o in correità altri Paesi.

Peraltro, quello stesso giorno (probabilmente, non un caso), prima del macabro ritrovamento del cadavere di Aldo Moro nel bagagliaio della Renault 4 rossa in via Caetani, un’altra esecuzione già s’era consumata: quella di Peppino Impastato, una vittima che provarono a far passare per carnefice, sottraendogli l’onore e sequestrandogli la compromettente documentazione che aveva raccolto sulla misteriosa strage di Alcamo Marina.

D’altronde, anche la vicenda di Aldo Moro, “il meno implicato di tutti” secondo l’efficace espressione pasoliniana, si alimenta di enigmi irrisolti e di sottrazioni di documenti, con l’ombra di una specie di Grande Vecchio a determinare gli eventi, a decidere senza pietà della vita e della morte delle persone e senza dover rispondere a nessuna legge se non a quella non scritta che indirizza i Governi e i destini delle persone in nome della salvaguardia di un presunto benessere collettivo, come accade per esempio in un film meraviglioso come “I tre giorni del Condor”. Insomma, s’è arrivati a un punto in cui la realtà supera di gran lunga la finzione.

A conti fatti, quindi, non è solo il giorno a unire le vicende di Impastato e Moro. «Non ho mai avuto nessuna simpatia per il Moro politicante, ma ho sentito un grande affetto per quest’uomo solo, negato, tradito», scrisse Sciascia evidenziando come i membri del suo stesso partito misero in atto una strategia di delegittimazione, avendo interpretato in maniera conveniente e distorta le lettere spedite da Moro durante i cinquantacinque giorni trascorsi nella “prigione del popolo”.

Anche qui c’è un’incredibile similitudine tra le due vicende nell’istante in cui si tenta di stravolgere i fatti e di rendere la vittima in qualche modo colpevole o comunque complice del proprio destino. Pasolini, quattro anni prima, in un suo famoso editoriale, aveva dichiarato di conoscere i nomi dei responsabili di tutto il marciume politico che aveva prodotto stragi e lutti in Italia ma non di avere né prove né indizi, facendosi guidare soltanto dal suo formidabile fiuto da intellettuale di razza che sapeva leggere i fatti e osservare con occhio indagatore ciò che altri non vedevano o facevano finta di non vedere.

Oggi, forse, ci sarebbe la possibilità (se non addirittura la necessità) di tirar fuori dagli archivi sigillati e secretati non solo gli indizi ma anche le prove, per riscrivere la storia e guardare sotto una luce diversa l’attualità. Tuttavia, più verosimilmente, quando la verità è troppo imbarazzante per esser raccontata e svelata, anche a quarant’anni di distanza, non può che restare sepolta sotto una coltre di reticenze, di falsificazioni e di continui inganni.

Gianluca Spera, classe 1978. Di professione avvocato da cui trae infinita ispirazione. Scrittore per vocazione e istinto di conservazione. I suoi racconti “Nella tana del topo” e “L’ultima notte dell’anno” sono stati premiati nell’ambito del concorso “Arianna Ziccardi”. Il racconto “Nel ventre del potere” è stato pubblicato all’interno dell’antologia noir “Rosso perfetto-nero perfetto” (edita da Ippiter Edizioni). Autore del romanzo "Delitto di una notte di mezza estate" (Ad est dell'equatore)" Napoletano per affinità, elezione e adozione. Crede che le parole siano l’ultimo baluardo a difesa della libertà e dei diritti. «L'italiano non è l'italiano: è il ragionare», insegnava Sciascia. E’ giunta l’ora di recuperare linguaggio e ingegno. Prima di cadere nel fondo del pozzo dove non c’è più la verità ma solo la definitiva sottomissione alla tirannia della frivolezza.