Donne, un cammino ancora lungo e tortuoso

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di Maria Rusolo

“Ho sempre avuto ben chiaro che dovevo lavorare, perché non esiste femminismo che si rispetti che non sia basato sull’indipendenza economica.”

Ha senso oggi, otto marzo 2021, scrivere di donne, ha senso ancora oggi pensare di parlare di donne che vivono una condizione diversa da quella dei loro fratelli. Complicato rispondere senza cadere nella retorica stucchevole del Festeggiamento, difficile riuscire ad esprimere concetti che non genereranno polemiche, qualunque cosa io decida di affermare, pur consapevole che si tratta di come io guardo il mondo, della mia storia e di come vivo la mia essenza nel mondo, provocherà reazioni diverse negli uomini e nelle donne.

Diciamo che sono abituata alle critiche e che le trovo anche costruttive, non mi offendono anzi, cerco di capire se posso modificare la mia visione delle cose e della realtà, non mi scuote neanche l’accusa che io sia una polemica, convinta che se scrivesse un uomo, non si avrebbe lo stesso atteggiamento, e che la verità fa fatica ad essere accettata. Mentirei se dicessi che non mi interessa il consenso, o che non sia ambiziosa, perché dovrei vergognarmi, è quello che rivendico da sempre con forza, il diritto di guardare in alto, di vedere riconosciuto il merito, la competenza ed anche la bellezza, senza doversene vergognare.

Rivendico da sempre il diritto di essere quello che si vuole, di sfuggire alle etichette e di relazionarsi con gli altri con assoluta padronanza di se stessi. Qui però oggi, vorrei dire anche altro, vorrei ringraziare chi ci ha consentito di poterci esprimere, di poter stare in piedi, di poter indossare una toga, un camice, di poter uscire e cercare un proprio spazio; vorrei ringraziare chi ci ha spinto a reagire alla prima offesa, a gridare quando qualcuno ci offende per il nostro genere, a chi ci ha consentito di scegliere la maternità se lo riteniamo giusto o di scegliere di essere madri non di un figlio, ma in altri modi, o di non esserlo affatto, a chi ci ha permesso di entrare in stanze una volta appannaggio solo degli uomini, a chi ci ha consentito, di spogliarci se lo desideriamo e di coprirci quando lo vogliamo.

Vorrei ringraziare le nostre madri, la mia di madre, che nonostante le difficoltà, le ristrettezze economiche, l’assenza di titoli di studio, si sono rimboccate le maniche ed hanno lottato senza sosta per un mondo più giusto ed equo, per un mondo in cui alle bambine fosse concesso con normalità di giocare alla guerra con i soldatini e di non vestire di rosa confetto, di tagliare i capelli alle barbie e di preferire un pallone ed un campo di calcetto, di portare i capelli corti senza nastri, o di abbracciare la femminilità come un dono da vivere non temendo lo strapotere del maschio.

Queste donne, hanno vissuto in piccoli paesi in anni difficili, in un Sud arretrato, non se ne abbia a male nessuno, in cui alla donna spettava il ruolo di madre e moglie in attesa, o di vestale che accompagna il maschio ed hanno deciso di lottare per se stesse e per le future generazioni. Hanno avuto lividi sul volto che hanno deciso di non coprire, hanno deciso di non vergognarsi, hanno spiegato alle figlie che se volevano cambiare il mondo dovevano studiare, essere brave e raggiungere l’indipendenza economica, hanno gridato che solo a loro spettava di decidere del proprio corpo e che non c’erano ostacoli troppo grandi da dover superare.

Non hanno avuto paura, o forse si, ma ci hanno insegnato che la paura non è un ostacolo, ma una risorsa, un panno nel quale non nascondersi, coprendosi il capo, ma nel quale a volte trovare anche conforto e spinta per grandi battaglie. Senza loro oggi non sarai a questa scrivania, nel mio studio a scrivere e lavorare con orgoglio e forza, senza mia madre io non avrei avuto la capacità di essere politicamente scorretta e di capire che non esistono differenze tra me ed il mio socio.

Dobbiamo moltissimo a queste donne e mi chiedo tutti i minuti della mia giornata, se noi stiamo facendo abbastanza per le future generazioni. Ho la sensazione e mi spiace dirlo, che abbiamo perso tempo, troppo concentrate sulla nostra personale esaltazione, e poco comprensive verso le nostre sorelle. Abbiamo ancora moltissimo da fare, dobbiamo costruire una comunità senza contrapposizioni, ma il cammino è lungo e tortuoso. Riposa su di noi la più grande delle responsabilità e non possiamo girarci dall’altra parte.

Ogni volta che una donna perde, perdiamo tutte indistintamente, non conta quanto siamo collocate in alto o quanto potere abbiamo, una ferita sul volto di una donna è una ferita a tutte noi. Se ragionassimo in questo modo saremmo sicuramente a metà del cammino e la festa della donna sarebbe la celebrazione di quanto abbiamo fatto e non di quanto ci resta da fare. Se non comprendiamo presto tutto questo resteremo in eterno racchiuse nel ” Racconto di una ancella”.

“L’acqua non oppone resistenza. L’acqua scorre. Quando immergi una mano nell’acqua senti solo una carezza. L’acqua non è un muro, non può fermarti. Va dove vuole andare e niente le si può opporre. L’acqua è paziente. L’acqua che gocciola consuma una pietra. Ricordatelo, bambina mia. Ricordati che per metà tu sei acqua. Se non puoi superare un ostacolo, giragli intorno. Come fa l’acqua.

Nasco in un piccolo paese della provincia di Avellino, con il sogno di girare il mondo e di fare la giornalista, sullo stile della Fallaci. Completamente immersa, sin dalla più tenera età nei libri e nella musica, ma mai musona o distante dagli altri. Sempre con una battaglia da combattere, sempre con l’insolenza nella risposta verso gli adulti o verso chi in qualche modo pensasse che le regole non potessero essere afferrate tra le dita e cambiate. Ho sempre avuto la Provincia nel cuore, ma l’ho sempre vissuta come un limite, una sorta di casa delle bambole troppo stretta, per chi non voleva conformarsi a quello che gli altri avevano già deciso io fossi o facessi. Decido di frequentare Giurisprudenza, con il sogno della Magistratura, invaghita del mito di Mani Pulite, ma la nostra terra è troppo complicata, per non imparare presto ad essere flessibile anche con i sogni e le speranze, per cui divento avvocato con una specializzazione in diritto del lavoro prima e diritto di famiglia poi, ma anomala anche nella professione e mal amalgamata alla casta degli avvocati della mia città. La politica e la cultura , i cuori pulsanti della mia esistenza, perché in un mondo che gira al contrario non posso rinunciare a dire la mia e a piantare semi di bellezza. Scrivo per diletto e per bisogno, con la speranza che prima o poi quei semi possano diventare alberi.