Fuga dei cervelli, Istat: 28mila laureati hanno salutato l’Italia nel 2017. Cosa ne sarà del nostro Paese?

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Potrebbe sembrare un problema irrilevante, una di quelle questioni che ciclicamente interessa le società globalizzate di ogni dove, ma che in realtà nasconde conseguenze allarmanti soprattutto nel lungo termine. E’ la fuga dei cervelli tanto discussa al giorno d’oggi. Lo dice l’Istat, nel suo report sulla mobilità interna e le migrazioni internazionali della popolazione residente, presentato lo scorso mese di dicembre: 28mila laureati hanno abbandonato l’Italia nel corso del 2017, con un aumento del 4% rispetto al 2016.

Le cause di questo fenomeno sono facilmente comprensibili. La fuga dipende “in parte dall’andamento negativo del mercato del lavoro italiano”, ma anche dalla “nuova ottica di globalizzazione” che, secondo l’Istat, spingerebbe i giovani più qualificati a “investire il proprio talento nei Paesi esteri in cui sono maggiori le opportunità di carriera e di retribuzione”. Una analisi precisa ed al tempo stesso poco rassicurante, in quanto le conseguenze prodotte restano tra le più pericolose.

In primo luogo c’è da preoccuparsi perché tutto questo rappresenta un enorme spreco di risorse per il nostro Paese, gravato per anni dalle spese di sostentamento scolastico dei futuri cervelli, i quali andandosene, non “ripagheranno” mai il debito contratto con le finanze statali. Seguendo una logica meramente utilitaristica, essersi fatti sfuggire un capitale umano di questa portata ha fatto sì che siano stati liquefatti ben 42,8 miliardi di investimenti privati (perlopiù familiari), ai quali vanno aggiunti altri 15 miliardi annui di denaro pubblico letteralmente regalato alla concorrenza estera. In assenza della materia prima, dunque, come sarà possibile sperare in una crescita?

In secondo luogo la nostra analisi prosegue col dire che più cervelli fuggono, maggiori saranno le difficoltà dei giovani restanti a progredire culturalmente, in considerazione di un clima di forte apatia di stimoli venutosi a creare. Quanto detto trova, infatti, riscontro nei dati a nostra disposizione: 65mila immatricolazioni in meno tra il 2000 e il 2015, oltre all’ultima posizione occupata dall’Italia per numero di laureati tra i 30 e 34 anni: 23,9% rispetto alla media europea del 38%.

Infine, dando un’occhiata al lungo periodo, ci si rende conto che negli ultimi cinque anni sono stati “persi” oltre 156mila tra laureati e diplomati e che quelli invece rimpatriati sono stati molti meno, con un saldo migratorio con l’estero negativo per oltre 51 mila unità. A dimostrazione che chi va all’estero spesso non fa rientro in madrepatria. Far fronte ai numerosi problemi sollevati rimane per questo una delle sfide più urgenti da affrontare, per far sì che l’ultimo baluardo della nostra identità nazionale – quello delle giovani generazioni – possa godere di condizioni economiche e sociali migliori all’interno del proprio Paese d’origine.

Classe 1992. Una laurea in Giurisprudenza ed una in Operatore giuridico d’impresa. Nel mezzo l’azione: paracadutista, sommozzatore e pilota d’aerei. Classicista convinto, quanto Cattolico. Appassionato di viaggi, lettura e scrittura. Un’esistenza volta alla costante ricerca delle tre idee che reggono il mondo: il Bene, la Giustizia e la Bellezza. Senza mai perdere di vista la base di ogni cosa: l’Umanità. Se fosse nato sostantivo, sarebbe stato il greco aretè e cioè, la disposizione d’animo di una persona nell’assolvere bene il proprio compito. La frase che lo descrive: “Darsi una forma, creare in se stessi un ordine e una dirittura”. Il tutto allietato da un bel dipinto di Giovanni da Fiesole.