Il fascino discreto della semifinale

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di Pasquale Di Fenzo

Il raggiungimento di una semifinale in un qualsiasi campionato può essere paragonato al “Sabato del villaggio” di leopardiana memoria. Ovvero, molto più prosaicamente al chiambrettiano “Comunque vada sarà un successo!”. Chi è nato negli anni ’60 ha avuto la fortuna di vedere l’Italia calcistica raggiungere la finale dei campionati sia mondiali che europei per ben quattro volte: “due volte nella polvere, due volte sull’altare”.
In entrambe le competizioni. Certo la gioia che ti dà la vittoria, o la delusione che ti prende per essere arrivato ad un passo dal traguardo in caso di sconfitta in finale, restano indelebili nella memoria. Invece le emozioni di una semifinale vinta passano col tempo, ma nel momento in cui si realizza, la conquista della finale tocca forse in assoluto il punto più alto della soddisfazione per un tifoso. La semifinale più bella di sempre, non solo per i tifosi italiani, quella che fu definita “El partido del siglo” e che è ancora ricordata con una lapide all’esterno dello stadio Atzeca di Città del Messico, fu Italia-Germania 4-3, di cui tutti hanno sentito parlare almeno una volta, anche se non si interessano di calcio. In finale il Brasile più forte di tutti i tempi si aggiudicò definitivamente la “Coppa Rimet” che il regolamento assegnava a chi fosse riuscito a vincere per tre volte il campionato del mondo.
In caso di vittoria italiana la coppa sarebbe andata a noi, e forse adesso la potremmo ancora ammirare. Invece quella coppa pare che sia stata fusa dopo essere stata rubata, mentre un’altra leggenda metropolitana vuole che sia finita in una discarica. Ma tant’è, per noi italiani resta indelebile il ricordo di quella storica semifinale. Ma anche le semifinali perse vanno ricordate.
Nel 1990 per Italia-Argentina al San Paolo fu confezionata la fake-new secondo la quale i napoletani avrebbero tifato per l’Argentina di Diego: mentono sapendo di mentire! Solo l’incredulità negli occhi di Schillaci fu superiore a quella dei napoletani alla fine di quella partita. La sfida Brasile-Italia poi ebbe una rivincita nel 1994. Perdemmo ai rigori, ma questa volta contro il Brasile più scarso di tutti i tempi. Ma il cammino dell’Italia fu esaltante, con Baggio che liquidò prima la Spagna e poi in semifinale la temibile Bulgaria dello spauracchio Stoickov che la stampa italiana aveva descritto come più forte dello stesso Pelè. Nel frattempo l’Italia era diventata campione nel mondo nel 1982. In questo caso la semifinale Italia-Polonia divenne una specie di adempimento burocratico dopo i trionfi contro Argentina e Brasile, e prima dell’apoteosi di quello che sarebbe restato per sempre il “Pablito Nazionale”. Persino noi napoletani ci dimenticammo del grande rifiuto. E nel 2016 non è sbagliato dire che, più che in finale contro la Francia, ci emozionammo in semifimale contro la Germania che battemmo in casa loro, proprio come abbiamo fatto quest’anno con l’Inghilterra.
Nel campionato europeo le considerazioni non sono molto dissimili. A cominciare dal 1968, quando nella finale bis contro la Jugoslavia (all’epoca non si andava ai rigori) conquistammo un titolo dopo trent’anni di digiuno calcistico. Ma le emozioni forti le vivemmo nella semifinale contro l’URSS.
Specialmente noi napoletani, perché la partita si disputò al San Paolo, col “nostro” Zoff protagonista che salvò il risultato a pochi minuti dalla fine alzando sulla traversa un tiro di Cislenko, che già ci aveva castigati nel mondiale del ’66. La partita finì 0-0 e il passaggio del turno fu assegnato addirittura col lancio della monetina, che però si svolse negli spogliatoi e non a centro campo. Io naturalmente ero sugli spalti e nessuno lasciò lo stadio fino a quando non vedemmo il capitano Facchetti con le braccia alzate in segno di tripudio per essere stato favorito dal sorteggio.
Altra leggenda metropolitana vuole che il lancio “fortunato” fu il secondo, in quanto la monetina dopo il primo lancio si era infilata sotto una panca e non fu possibile recuperarla. Facchetti poi confessò che, restato solo negli spogliatoi, volle tentare di recuperare quella monetina. Ci riuscì e la gioia fu doppia, perché il primo sorteggio era andato diversamente da quello definitivo.
Nel 2000 perdemmo l’europeo contro la Francia dopo essere stati in vantaggio fino a un minuto dalla fine, e poi fummo battuti nell’unico tempo supplementare che una regola assurda voleva interrompersi al momento in cui una delle due fosse riuscita a segnare. Il “golden gol” lo chiamarono. Poi fortunatamente questo obbrobrio regolamentare fu abolito. Ma chi non ricorda la storica e stoica semifinale dei ragazzi di Zoff contro la fortissima Olanda di quel tempo: l’Italia ridotta in dieci e col portiere Toldo che era riuscito a parare già due rigori nei tempi regolamentari. Quando si arrivò ai rigori finali, gli olandesi sembravano tremare davanti a quel gigante che nell’occasione si esaltò al punto di sventare altri tre rigori.
Nel 2012 l’Italia di Prandelli perse la finale contro la fortissima Spagna già campione del mondo. Ma le emozioni le vivemmo nella solita semifinale, contro la Germania, con l’indimenticabile doppietta di Balotelli, che oltre a quelli che sarebbero potuto essere i suoi pregi calcistici, mise in mostra anche i muscoli addominali. Ironia ella sorte sia Zoff che Prandelli furono quasi crocifissi per quelle sconfitte in finale. Invece quattro anni più tardi, Conte che si era fatto eliminare ai quarti di finale dalla Germania nell’unica volta che i tedeschi sono riusciti a batterci in una competizione ufficiale, viene ancora ricordato per aver compiuto un’impresa memorabile. Quando si dice la potenza della stampa amica per un allenatore! Ne sappiamo qualcosa anche noi napoletani per fatti molto più recenti. E cocenti. Infine anche la semifinale di quest’anno, contro la fortissima e favorita Spagna, sarà ricordata come l’esaltazione del gioco italiano contro l’ormai insopportabile e inconcludente tiki-taka degli spagnoli. E a proposito di semifinali memorabili, possiamo non ricordare Berrettini?

Pasquale Di Fenzo, PDF per gli amici, tifoso di Napoli prima che del Napoli. Non lesina critiche a Napoli e al Napoli, ma va “in freva” se qualcuno critica Napoli e il Napoli. Pensa di scrivere, ma il più delle volte sbarèa. L’obiettività è la sua dote migliore. Se il Napoli perde è colpa dell’arbitro. O della sfortuna. Sempre. Se vince lo ha meritato. Ha fatto sua una frase di Vujadin Boskov, apportando però una piccola aggiunta: “è rigore quando arbitro fischia, a favore del Napoli”. E’ ossessionato da Michu che, solo davanti alla porta del Bilbao passa la palla ad Hamsik invece di tirare in porta. Si sveglia di notte in un bagno di sudore gridando “Tira! Tira!”.