Il mestiere del tempo…

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di Christian Sanna

Dal parto al parto: partorirsi dopo essere stati messi al mondo. Questo è il senso della vita! C’è una logica nel dare alla luce se stessi. E’ possibile che, scaduto l’affitto del corpo, al di là delle nuvole, il Creatore se ne esca con questa domanda: hai usato tutto il tuo potenziale?

Con il tramonto i rimpianti si fanno più nitidi ed insistenti, l’urgenza di fare il bilancio esistenziale non lascia scampo. C’è questa impellente ed imbarazzante incontinenza: bisogna tirare le somme. Si sogna o si muore, a volte per non morire si sogna anche ad occhi aperti, mentre altre si muore sognando un pò alla giornata. Come passa il Tempo! Mi dicevano quei saggi che in passato sono stati anch’essi giovani “Vedrai, dopo i vent’anni il tempo vola”. Non ne sono tuttora convinto!

Credo che la partita si giochi sulla percezione; da bambino un muretto sembrava una montagna da scalare, mentre da adulto resta un muretto e perde qualcosa in termini di sfida, grandezza, mitizzazione. Penso che farei meno fatica a capire e quindi a “tollerare” la vita se iniziasse dalla fine, dai titoli di coda. Come nel film The Curious Case of Benjamin Button basato sull’omonimo racconto breve di Francis Scott Key Fitzgerald, l’essere umano dovrebbe nascere vecchio, così da mettere in pratica tutta la saggezza e la conoscenza acquisita per affrontare la vita nel mondo migliore.

Si eviterebbero errori, rimpianti, nostalgie. Non è vero che dagli errori si impara o meglio questo non vale per tutti; molti sono destinati a ripetere lo stesso errore all’infinito, poichè quell’errore è ormai diventato dipendenza e nel continuare a sbagliare c’è la disinvoltura del piacere che si ritrova dentro il dolore. E’ come se molti non ce la facessero ad amare senza soffrire, come se ci fosse una non precisata colpa da espiare. Alcuni non resistono alla tentazione dell’errore, perchè sono poco strutturati. C’è una fragilità spaventosa e ci si butta via, trovando rifugio nel disvalore. Come passa il tempo sulla felicità!

Neanche è vero, poichè le gioie ed i dolori necessitano di processi di storicizzazione. Come si stava bene al liceo! A quel tempo non lo pensavamo, anzi in quel periodo pagavamo dazio all’ansia, all’insicurezza, alle delusioni dei primi amori. Sembrava tutto una tragedia: le interrogazioni, gli esami, le incomprensioni con docenti, compagni e genitori. Allora avremmo pagato tutto l’oro del mondo per saltare una decina d’anni e diventare adulti in un secondo; oggi vorremmo tornare indietro, da qui la nostalgia che è il desiderio acuto del ritorno. Questo è il mestiere del tempo: cancella le imperfezioni del passato e ci lascia solo i ricordi belli.

Un tempo eravamo felici, può darsi! Però spesso non ce ne siamo accorti, perchè presi nella rete confusionaria della vita. Per capire il senso della vita uno non dovrebbe viverla ma guardarsi vivere, essere coinvolti come avviene nelle faccende dell’amore diminuisce la lucidità e di conseguenza l’efficacia del pensiero analitico. Siamo in molti a sentire come propria l’amara riflessione di Carl Gustav Jung “Non rimpiango le persone che ho perso col tempo, ma rimpiango il tempo che ho perso con certe persone, perché le persone non mi appartenevano, gli anni sì”.

E’ evidente come in un’affermazione del genere ci sia rimpianto e delusione, amplificati dal tempo che galoppa veloce. Il manifesto che leggiamo è: se solo avessi giocato bene le mie carte, se avessi lasciato il tavolo da gioco appena in tempo bla bla bla. Doveva andare così! La regina delle frasi consolatorie, la toppa per ogni cosa. Come passa il tempo! E come fa bene il suo mestiere, il tempo! Una volta scrissi alla mia donna del futuro: “Ho dimenticato le rughe, gli acciacchi, i litigi e le incomprensioni. E’ sparita tutta la sofferenza e non ho più la tristezza nel cuore. L’unica cosa che ricordo chiaramente è che ti amo”. Come passa il tempo! Avrei voluto nascere vecchio e saggio e risalire il tempo, fino a diventare io stesso la nostalgia compiuta, che ce l’ha fatta a ritornare da dove è venuta.

Provo a descrivermi in una frase, ma è un pò come rinchiudere il mare in un bicchiere. Allora potrei definirmi "Un solitudinista visionario animale sociale ed un cercatore di spiritualità, tutto occhi ed inquietudine, perdutamente innamorato dell'Idea che non è ancora riuscito ad afferrare, col cuore di cristallo. Fregato dai sentimenti". Ritengo superfluo aggiungere i titoli di studio conseguiti, i lavori svolti, gli eventi culturali organizzati e presentati, gli impegni nella politica e nel sociale. E se a qualcuno sta balenando in mente l'idea ( sbagliata) che io possa essere un insopportabile presuntuoso, sappia che è appena caduto nella rete che ho preparato. Io voglio che a parlare per me siano gli articoli; i lettori più attenti ci troveranno frammenti d'anima.