Il mondo in fiamme

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È evidente che il mondo sia in fiamme: non solo l’odio religioso è il principale fattore del contenzioso fra gli uomini, ma le dinamiche perverse dell’economia hanno messo in essere una spirale di violenza, che, neanche nel corso del Novecento, si era avvertita con tanta virulenza.
Infatti, non c’è parte del globo che non sia interessata da un conflitto, che nasce o per odio religioso o perché gli interessi economici, sempre forti a qualsiasi latitudine, spingono l’uomo ad impugnare il fucile o la spada contro il proprio simile.
Di fatto, così viene a manifestarsi la più plateale sconfitta della democrazia, perché non solo le guerre generano, sovente, la nascita di governi dittatoriali, ma perché finanche le democrazie tradizionali, come quelle della vecchia Europa, sono sempre più minacciate da pericoli sia interni, che esterni.
È ovvio che la paura del terrorismo islamico, prima o poi, nelle nostre società determinerà una spinta autoritaria, per cui, pur conservandosi nella lettera delle Costituzioni occidentali il principio democratico, esso sarà sempre più affievolito nella prassi, perché le ragioni della sicurezza prevarranno su quelle della libera espressione delle idee.
D’altronde, la grande migrazione di Asiatici ed Africani dalle sponde del Nord-Africa sta determinando, già, un primo effetto concreto: il principio della libera circolazione delle persone, sancito dal Trattato di Schengen nel 1993, viene quotidianamente messo sotto accusa dai partiti di estrema Destra di mezza Europa, che chiedono, a gran voce, la chiusura delle frontiere, allo scopo di ridimensionare l’arrivo di poveri individui, difficilmente ricollocabili poi nel meccanismo produttivo del nostro continente.
Anche le ragioni della solidarietà, compulsate dalla religione cristiana, si stanno dimostrando sempre più deboli, per cui gli Italiani, non meno dei Francesi o degli Svedesi, si mostrano intolleranti nel ricevere gli arrivi dei poveri dal Terzo e dal Quarto Mondo, creando così le premesse di un vero e proprio conflitto su scala planetaria, perché, quando non sarà più possibile rallentare tali flussi, sarà inevitabile che possa scoppiare il conflitto armato fra chi difende uno standard minimo di ricchezza e chi, invece, tenta di giungere ad un livello di benessere, che gli possa consentire, almeno, una dignitosa sopravvivenza, dopo essere sfuggito ai rigori dell’integralismo religioso ed ai pericoli sempre maggiori di una navigazione in mare aperto su di un barcone malsicuro ed affidato al controllo di criminali senza scrupolo e privi di qualsiasi nobile sentimento.
Nel Novecento, dopo la conclusione della Seconda Guerra Mondiale, i conflitti si erano sviluppati solamente su scala regionale, per cui, molto spesso, i Paesi in guerra fra di loro erano l’immagine fedele del conflitto ben più importante fra Russi ed Americani, dal momento che lo schema della Guerra Fredda, con i due opposti schieramenti, tendeva a riprodursi in tutti i continenti fra gli alleati dell’una ovvero dell’altra potenza.
Oggi, questo modello è saltato, visto che la guerra si sviluppa fra Stati che si contrappongono ad entità non statuali: l’Isis, che pure vorrebbe divenirlo, non è ancora compiutamente uno Stato; però, ha la forza, militare ed economica, per guerreggiare in diversi teatri del mondo e, soprattutto, per incutere paura alle potenze occidentali, dopoché i suoi capi sono stati, in passato, finanziati ed aiutati militarmente dagli stessi Servizi Segreti di mezza Europa, quando quell’organizzazione criminale era funzionale agli interessi americani, in particolare in occasione dell’esplosione della cosiddetta “primavera araba”.
Inoltre, la guerra aveva un suo codice, che i nemici erano tenuti a far rispettare: i prigionieri erano trattati in modo dignitoso e nessuno degli sfidanti era spinto a compiere atti di barbarie in modo indiscriminato.
Invece, nelle attuali guerre, prevale proprio la ferocia, visto che pare che si sia aperta, quasi, una sfida fra i terroristi per stabilire chi sia in grado di compiere l’atto più efferato, la violenza più macabra ovvero l’uccisione di massa con il maggiore spargimento di sangue.
Il venir meno di un codice deontologico fra i belligeranti è il tratto peggiore di una guerra, che non potrà che alimentarsi ulteriormente da atti folli, che generano un pessimo esempio per le generazioni future, abituate ormai a pensare che, a vincere, sarà chi decapita più nemici o realizza, davanti alle telecamere televisive, lo spettacolo più vergognoso ed indegno dell’Uomo.
Quando terminerà una simile violenza, invereconda ed incontrollata?
Quando, finalmente, le ragioni della diplomazia prevarranno su quelle del conflitto, continuo e permanente?
Quando, infine, l’Uomo potrà tornare a guardare in viso il proprio simile, evitando che un siffatto sguardo possa nascere da un desiderio di potenza ed auspicando, invece, che possa generarsi da un nobilissimo sentimento di amore e di fratellanza, tanto più rispettabile, se consumato fra individui di diversa razza o credo religioso?
Quando, infine, l’umanità potrà tornare ad essere il volto migliore del Dio in cui crede e non il prodotto deteriore di una società, che, troppe volte, ha ucciso la propria ansia e tensione morale verso l’Assoluto, in nome di interessi tristi e lordi e di dinamiche assai bieche ed impudiche?

Dirigente scolastico, dapprima nella secondaria di primo grado e, successivamente, nella secondaria di II grado. Gli piace scrivere di scuola, servizi, cultura, attualità, politica. I suoi articoli sono stati già pubblicati da riviste specialistiche, cartacee ed on-line, e da testate, quali: Tecnica della scuola, Tuttoscuola, Edscuola, Ftnews, Contattolab.