LA SINDROME DI STOCCOLMA

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-di Lorenzo Effuso-

Parliamoci chiaro: qua non si tratta di lamentarsi sempre e a prescindere (a parte il fatto che torti subiti e/o favori regalati sono, obiettivamente, sotto gli occhi di tutti); né si vuol reiterare la “pietosa bugia” (per usare una metafora lirica di verdiana memoria) che il calcio resta, in fondo (ma molto in fondo) solo un gioco; ma neppure dobbiamo lasciare che il mancato rispetto di regole comuni, la sprezzante alterigia nei confronti delle autorità riconosciute, i comportamenti mafioso-delinquenziali di certa “elitaria” parte della società (e delle società, nella fattispecie) possano divenire, per inveterata abitudine e per rassegnata accettazione, la normalità quotidiana. Perché è poi completamente inutile tentar d’insegnare legalità e altrui rispetto se da ogni dove giungono, lampanti, esempi contrari.

bonucci_rizzoli_mediagallery-articleE quindi, come raccomandi ad un adolescente di rispettare l’alt di un carabiniere, se un Bonucci qualunque può, impunemente, prendere a testate, urbi et orbi, un arbitro internazionale; come inculchi ad un ragazzo l’idea del sacrificio per uno scopo, se un qualsiasi Rizzoli s’arroga la facoltà (anzi, il potere) di condizionare (arbitrariamente, è il caso di dire) un risultato a suo piacimento; come spieghi ad un giovanotto che impegno, onestà, dignità, disciplina (che termini antiquati…) caratterizzano una persona rendendola un campione, se a un Marotta a caso si permette d’affermare, in pratica, che vincere (ad ogni costo, of course) è l’unica cosa che conta.

Il derby torinese di domenica ventimarzoduemilasedici ha appunto rappresentato l’archetipo di questo modus cogitandi (e, ahimè conseguentemente, agendi): non il più bravo vince, ma chi bara di più. Con buona pace di ogni più fulgido modello educativo.

È chiaro che il calcio non è la vita, ma è altrettanto palese che gli esempi rappresentano indicazioni facili e spesso obbligate. E, quanto a disdicevoli prototipi comportamentali, proprio non possiamo dire di non averne già in abbondanza ogni giorno, dalla politica e dalle Istituzioni via via a scendere.

Il paradosso, poi, è che queste lezioni di condotte, per così dire, “diversamente oneste” ci vengono propinate dagli eredi di quegli stercoracei personaggi che, da centocinquantacinque anni a questa parte, hanno fatto sì che noialtri, da gente del Sud, si diventasse Meridionali (essendo i due termini, si badi bene, tutt’altro che semanticamente sinonimi), depredandoci di ogni avere, di ogni diritto, di ogni libertà, di ogni dignità. Ladri, farabutti, canaglie (altro che i nostri briganti) che, attraverso una certa qual trasformazione sabaudo-cavouriano-garibaldo-mazzininiano-agnello-rubentina (mi si perdoni qualche epifanico neologismo), continuano criminalmente a dettar legge nelle italiche contrade. E, paradosso dei paradossi, trovando ampie quanto inspiegabili legioni di ciechi sostenitori proprio nelle terre che i loro recenti antenati provvidero a devastare.

Che dire, questa bizzarra assurdità di tifare per i rappresentanti dell’oppressore trova, evidentemente, i suoi presupposti nell’ignoranza (d’altronde la Storia che c’insegnano è altra), nell’accidia (minimo sforzo massimi risultati, e comunque poco sangue nelle vene), nella mancanza d’amor proprio (mutua solidarietà, chi era costei?), nella bramosia del facile trionfo (storicamente, il carro del vincitore è sempre stato affollato oltre il predellino).

Oppure, più semplicemente (e parlando da medico), trattasi di vera e propria malattia. La stessa che provoca il morboso attaccamento della vittima al suo carnefice, da cui egli maggiormente dipende quanto più ne subisce violenza.

La Sindrome di Stoccolma, appunto.

Pensateci, juventini del Sud, la prossima volta che osannerete i loro (mai vostri) non-colori.

P.S.: questo facile link di Wikipedia (https://it.wikipedia.org/wiki/Sindrome_di_Stoccolma) per un’informazione più approfondita sulla stupidità di ciascuno.

 

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