La verità sepolta

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di Gianluca Spera

Trentacinque anni sono trascorsi da quel lontano 22 giugno in cui si persero le tracce di Emanuela Orlandi, la cittadina vaticana allora quindicenne. Tutto ciò che riguarda l’affaire Orlandi è assolutamente anomalo, a cominciare dal luogo della sparizione. Emanuela, infatti, stava percorrendo il Corso del Rinascimento dopo aver terminato la lezione di musica alla scuola Ludovico Da Victoria accanto alla Basilica di Sant’Apollinare. Siamo nel cuore di Roma, nei pressi del Senato della Repubblica. Eppure in quella strada trafficata, caotica, presidiata giorno e notte, a pochi passi da Piazza Navona, Emanuela Orlandi scomparve nel nulla. Nessun testimone è mai stato in grado di riferire che fine abbia fatto la ragazza, se sia salita a bordo di un’auto, magari di un conoscente, o abbia proseguito a piedi verso la fermata dell’autobus con il quale solitamente tornava in Vaticano. Anzi nella maggior parte dei casi, le testimonianze hanno aggiunto tanta confusione alla vicenda, contribuendo a indirizzare le indagini verso piste improbabili o comunque poco plausibili.

L’intervento che, però, segnò una sorta di punto di non ritorno fu quello dell’allora papa Wojtyla il quale, un paio di settimane dopo la scomparsa, durante il consueto Angelus domenicale, si rivolse ai presunti rapitori della Orlandi “confidando nel senso di umanità di chi abbia responsabilità in questo caso”. Fino a quel momento nessuno aveva parlato di  sequestro di persona né vi erano elementi per sostenerlo. Peraltro, dopo tanti anni di inchieste, millantatori, interventi della Stasi volti ad accreditare la tesi del rapimento politico con la richiesta di scambio della “prigioniera” con Ali Agca, del fantomatico Amerikano (che forse giocava una partita tutta sua), nessuno ha mai fornito uno straccio di indizio che confermasse l’ipotesi adombrata dal papa e dimostrasse di aver preso in ostaggio la ragazza. Tuttavia, quell’intervento, in apparenza inspiegabile o addirittura imprudente, lasciava intendere che il Vaticano, a dispetto delle smentite e dei difetti di giurisdizione sollevati (la Orlandi era sparita in territorio italiano, o almeno così sostenevano oltre Tevere), seguiva con interesse e apprensione la vicenda. Non sono mai emerse prove per dimostrare che quell’interesse fosse dettato dal coinvolgimento di qualche alto prelato o dalla necessità di allontanare il sospetto di un sexgate con religiosi implicati. Tuttavia, in tutti questi anni, la magistratura italiana si è trovata sempre di fronte a un muro di gomma quando ha tentato di ricevere la collaborazione del Vaticano per un caso che, a meno di clamorose sorprese, sembra destinato a restare irrisolto come spesso succede in Italia.

L’idea che se ne può ricavare è che la verità sia troppo indecente e imbarazzante per essere raccontata anche a distanza di tempo. Ecco perché chi ha fatto scempio della vita di Emanuela, è stato così abile da non far mai ritrovare il corpo nonché a manovrare dietro le quinte per depistare. Non si potevano rischiare scandali o mettere a repentaglio la reputazione dei personaggi o addirittura la tenuta delle istituzioni direttamente o indirettamente coinvolte nella vicenda. Forse, anche per questo motivo s’è sfruttata la grancassa mediatica per fare una grande ammuina, paventando ora l’intrigo internazionale con annesso rapimento politico, poi il più congeniale romanzo criminale tutto capitolino e, infine, si è è passati agli avvistamenti nei luoghi più disparati del globo. La faccenda è stata farcita di parecchi elementi che nulla c’entravano con questa storia: l’onnipresente Marcinkus e il suo discusso IOR, Roberto Calvi e il crack del Banco Ambrosiano, l’immancabile Banda della Magliana.

Insomma, il caos organizzato è servito ad allontanarsi dalla verità. Si sono inseguite piste così improbabili che non sarebbero state utili nemmeno per pubblicare qualche scadente romanzo giallo o girare una fantasiosa spy-story.

Graham Greene ha scritto che un caso non è mai davvero risolto, nemmeno dopo cent’anni, quando tutte le persone coinvolte sono morte. Il dossier Orlandi, invece, è stato arricchito solo di menzogne, sensazionalismo, scoop farlocchi, salme riesumate, rivelazioni deliranti, e deliri di onnipotenza con il risultato di aver impedito concretamente che ci si potesse avvicinare alla verità. Così a portata di mano fin dal giugno dell’83 e ancora inafferrabile nel 2018.

Gianluca Spera, classe 1978. Di professione avvocato da cui trae infinita ispirazione. Scrittore per vocazione e istinto di conservazione. I suoi racconti “Nella tana del topo” e “L’ultima notte dell’anno” sono stati premiati nell’ambito del concorso “Arianna Ziccardi”. Il racconto “Nel ventre del potere” è stato pubblicato all’interno dell’antologia noir “Rosso perfetto-nero perfetto” (edita da Ippiter Edizioni). Autore del romanzo "Delitto di una notte di mezza estate" (Ad est dell'equatore)" Napoletano per affinità, elezione e adozione. Crede che le parole siano l’ultimo baluardo a difesa della libertà e dei diritti. «L'italiano non è l'italiano: è il ragionare», insegnava Sciascia. E’ giunta l’ora di recuperare linguaggio e ingegno. Prima di cadere nel fondo del pozzo dove non c’è più la verità ma solo la definitiva sottomissione alla tirannia della frivolezza.