Musei Filangieri e Correale, quel legame poco conosciuto tra Napoli e Sorrento. “Dopo il lockdown la sfida parte da qui, senza cultura non c’è ripresa”

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di Claudia Procentese

“Impara l’arte e mettila da parte” recita un vecchio adagio. E invece in questi tempi di pandemia l’arte può servire a decifrare meglio la realtà e a migliorarla. Non ha dubbi in merito Paolo Iorio dal 2003 direttore del museo del Tesoro di San Gennaro, dal 2018 direttore del museo Filangieri a Napoli e solo da sei mesi direttore del museo Correale di Sorrento. Un impegno gravoso che ad uno sguardo inesperto può sembrare dislocato in spazi geografici e culturali scollegati tra loro. Ma, ascoltandone la storia, i legami e le prospettive si svelano.

 

Lei è direttore di tre musei ubicati in due città diverse della Campania, cosa li accomuna e cosa li distingue?

Il territorio interviene in maniera profonda sulla realizzazione di questi tre i musei, di cui due hanno una matrice comune.

In che senso?

Il Tesoro di San Gennaro è nato con me nel 2002, è una storia di fede senza precedenti che vede protagonisti un ente laico come la “Deputazione” espressione della città di Napoli e gli stessi napoletani che hanno difeso un patrimonio unico al mondo affinché rimanesse intatto dal 1305 ai giorni nostri. Invece quella del Filangieri e del Correale è una storia di intellettuali.

Quindi i musei Filangieri di Napoli e Correale di Sorrento hanno un profondo legame, una stessa radice?

Assolutamente sì. Gaetano Filangieri è colui che ha scritto la monumentale opera “La scienza della legislazione” partorendo l’idea straordinaria del diritto alla felicità ripresa poi da Benjamin Franklin, mentre il nipote, deluso dal mancato rinnovamento postunitario, va via da Napoli coltivando l’idea che tutte le eccellenze campane che si erano contraddistinte nell’arte e nella produzione artigianale dovessero essere messe a sistema. A Parigi si trova per la prima volta al cospetto, in piena rivoluzione industriale, di alcuni tentativi di musei privati intesi come laboratorio di formazione. Ritorna a Napoli e pone le basi del Filangieri, primo museo artistico industriale insieme al Palizzi, allestito nel quattrocentesco Palazzo Como che venne arretrato di venti centimetri allo scopo di scongiurarne l’abbattimento a seguito dei lavori del Risanamento e dell’allargamento di via Duomo. L’intellighenzia napoletana riceve nuovo impulso e Filangieri mette a disposizione dei formanti tutto il collezionismo d’arte accumulato. Nelle famiglie nasce, quindi, un mecenatismo che punta a sistemare le collezioni, cioè a realizzare musei. E i Correale mutuano l’idea del Filangieri trasformando la dimora sorrentina in un museo. Quest’ultimo viene inaugurato nel 1924, ma guarda caso fa riferimento proprio allo statuto del Filangieri.

Oggi sono aperti questi tre musei?

Soltanto il museo Correale è chiuso per lavori di ristrutturazione, riaprirà intorno alla fine di luglio. Finora, però, ha raccolto poco rispetto alle sue possibilità. Nel 2019 sono stati quindicimila i visitatori su due milioni e mezzo di turisti a Sorrento.

Forse perché è decentrato?

No, anzi si trova in un punto nevralgico e di straordinaria bellezza. Ma non possiamo più chiedergli di essere un museo di impostazione ottocentesca. Il suo futuro è affidato alla trasformazione in polo culturale, ovviamente non stravolgendo i suoi contenuti bensì esaltandoli poiché sono davvero tanti e di valore. Occorre intercettare altre esigenze, meno in superficie, e saper accogliere un turismo diverso, nuovo.

Cultura e turismo sono conciliabili? Per meglio dire, il conta-visitatori, base ormai necessaria degli introiti di molti musei, non influenza troppo la qualità dell’offerta, svilendola? Si può non tarare l’offerta sulla domanda economica ingressi-incassi, ma creare un’offerta nuova e più educativa?

Paolo Iorio

La vera sfida è questa. E cioè sgombrare il campo da una visione superata in cui le opere vengono schierate tutte in una mera esposizione, calibrare l’offerta culturale, ma non dimenticando che il turismo dipende dalla cultura e non viceversa. Un esempio è dato dal degrado in cui versava nel 2002 via Duomo dove c’erano solo negozi di abiti da sposa che non reggevano più la concorrenza. Con l’apertura del museo del Tesoro di San Gennaro, quando ha cominciato a fare numeri e a portare turisti, la strada ha modificato poco per volta la sua identità, sono nati nuovi esercizi commerciali, pizzerie, bed and breakfast. Il museo ha portato indotto, economia, turismo. Inoltre, cosa importantissima, l’offerta deve sempre superare l’asticella della qualità anche perché i turisti non sono stupidi, si informano, cercano, non si accontentano più. Purtroppo la pandemia ha interrotto questa rinascimento, da poco siamo tornati di nuovo in campo.

Venerdì alla XXIV edizione della Borsa Mediterranea del Turismo il ministro del Turismo Massimo Garavaglia ha detto “non mi piace la parola resilienza che sa di rassegnazione, preferisco le parole grinta, entusiasmo”. Come si coltiva la grinta, di che si nutre l’entusiasmo?

Solo se torniamo al concetto che nulla piove dal cielo. I finanziamenti a pioggia non hanno più motivo di esistere, dobbiamo cominciare a camminare con le nostre gambe, tuttavia devono metterci in condizioni di farlo.

Cioè?

La pandemia ha generato guasti terribili, ma proprio dove lo Stato non interviene. Ancora un esempio, il Filangieri per statuto usufruisce di un contributo del Comune di Napoli perché museo civico. Dopo sei anni che il Comune non dà più tale contributo e dopo un anno e mezzo di chiusura, ovviamente come facciamo ad avere la regolarità contributiva? Ma il Comune non paga proprio perché non c’è la regolarità contributiva, è una follia. Perché allora non versare il contributo direttamente all’Inail, all’Inps, aggirando il paradosso del Durc, il documento unico di regolarità contributiva? Ma questo non è permesso dalla legge.

A proposito di guasti della pandemia, quanto è importante la comunicazione digitale e quanto la tecnologia durante il lockdown da mezzo è diventata fine?

Non mi sento di colpevolizzare, abbiamo attraversato un periodo faticoso di digiuno coatto. La comunicazione digitale è un ottimo strumento di conoscenza se ben utilizzata. Ma, si badi bene, non sostituisce assolutamente la visita reale in un museo. È imprescindibile che io veda davanti a me, e non attraverso una mediazione digitale, il quadro fatto da Caravaggio o da Vaccaro per potermi davvero emozionare.

In questo particolare periodo della pandemia con annunci istituzionali di ripartenza quale ruolo può svolgere il museo? E cosa è cambiato per sempre?

Secondo me non è cambiato nulla, abbiamo solo capito l’importanza dei musei. Il loro ruolo è propositivo. Come dicevo prima, il museo non può essere più considerato un contenitore di opere da catalogare, classificare, conservare, ma viene chiamato alla sua vocazione di luogo in cui la cultura sia fruibile e disponibile. E soprattutto venga vista. Non serve esporre tutto quello che c’è, perché è impossibile e perché lo vedi male, bisogna operare scelte. È inutile posizionare quadri a tre metri di altezza da terra, non si vedono, non si capiscono. Questa è la cosiddetta “incrostazione”, la metodologia museografica dell’Ottocento, i dipinti erano disposti in modo da ricoprire completamente le pareti delle sale. Basta, invece, un solo quadro su una parete e narrato. Su questo tipo di operazione sto lavorando al Filangieri e lavorerò al Correale.

Il museo è spazio incastrato nella vita quotidiana del territorio che vive e lo vive. Napoli sta attraversando un momento delicato con l’inizio di una campagna elettorale che si preannuncia complicata e si concluderà ad ottobre. Lei, come rappresentante del mondo culturale di questa città, cosa si sente di chiedere agli amministratori che verranno?

Normalità. Istanza di una banalità mostruosa, ma necessaria oggi più che mai. Finora troppi programmi e poca fattibilità.

Da cosa cominciare?

Dalla comunicazione coordinata sulla città, soprattutto destagionalizzando la domanda e l’offerta, perché non possiamo campare solo sette mesi su dodici. Abbiamo avuto un buon interlocutore in Nino Daniele, assessore di grande spessore culturale. Anche chi lo ha seguito, Eleonora De Majo,  se l’è cavata bene dando una svolta giovanile. Senza collaborazione non ripartiamo e non andiamo da nessuna parte.

"Dentro di noi c’è una cosa che non ha nome, e quella cosa è ciò che siamo" (José Saramago)